Leggere una grande guerra #27
Lo scorso anno, in occasione del trentennale della morte e grazie anche alla pubblicazione Quasi un consuntivo (1975-1987) (Donzelli, pp. 160, euro 15, a cura di Daniela Marcheschi), si è riattivata qualche attenzione attorno all'opera del poeta e critico Remo Pagnanelli (Macerata, 6 maggio 1955 - Macerata, 22 novembre 1987). Nella sua breve vita interrotta dal suicidio, oltre ad alcune pubblicazioni che, tra altri editori, hanno riguardato Scheiwiller, Forum e Il lavoro editoriale, il marchigiano Pagnanelli ha incrociato il Veneto in un paio di occasioni, prima con Atelier d’inverno (Accademia Montelliana, 1985) e poi con il volume postumo Preparativi per la villeggiatura (Amadeus, 1988, con una nota di Giampiero Neri). In biblioteca mi è capitato in mano proprio quest'ultimo volume marrone, del quale riporto il testo seguente. Di Pagnanelli si trova ancora il volumetto Prime scene da manuale della collana "Ocra gialla" delle Edizioni Via del Vento di Pistoia, mentre il versante critico della sua scrittura è più difficilmente accessibile. Oltre agli studi su Vittorio Sereni, ha senso ricordare il volume pubblicato sempre postumo da Mursia nel 1991 e intitolato Studi critici. Poesia e poeti italiani del secondo Novecento con contributi su Bellezza, Bertolucci, D'Elia, Giudici, Mussapi, Penna, Sereni e Zanzotto.
(Nell'edizione Amadeus del testo seguente, parole come "orto" o "uomo" sono effettivamente precedute dall'articolo indeterminativo con l'apostrofo.)
dentro un inizio di bosco curato più di un'orto il cimitero contiene novecento morti della prima guerra mondiale. Ci s'incappa per caso deviando dal sentiero segnato che conduce alla malga. Piccolo miracolo di perfezione giardiniera che un'uomo accudisce con ossessione. Uno di questi perimetri esagonali potrebbe essere il posto del riposo. Tutto sembra suggerirlo. Divisi da steccati trasparenti i sudditi austroungarici stanno agglomerati per etnie. Sono turchi, prigionieri russi, ebrei. Le date si riferiscono in massima parte al 1916. Scontri di retroguardia. Io e mio padre pronunciamo ridendo i nomi più strani (invariabilmente turchi), elogiamo la pulizia e la democraticità geometrica cercando qualche eccitazione di sussulto o fastidio. Col chiederci chi mai erano e il senso delle loro vite il gioco necrofilo su cui si regge la letteratura è ben avviato. Desidero una tomba di eguale essenzialità. Solo a queste altezze la povertà ha un suono sacro e sublime insieme. Non è del tutto vero se si pensa che qui la natura ha dispiegato con ostentazione erbe aromatiche, rivoli di fiori, resine profumate. L'inganno è più feroce della ridicola rimozione urbana. Qui agisce il mito del sonno dolce e progressivo, della giusta fine d'una bella biografia. Invece, la musica silenziosa è una riduzione della lingua, non il suo azzeramento. La morte sta nell'eliminazione d'ogni suono e residuo linguistico. Di conseguenza non sarebbero praticabili incontri con ombre, dèi, fate, cioè alcuna consolazione da scribi. Attraverso questa porta senza referenti si può dimenticare e essere dimenticati, non possedere né essere posseduti. Addio storia, addio natura.
(cimitero di guerra)
Nessun commento:
Posta un commento