sabato 16 giugno 2018

"Muga-muchū" di Philippe Forest

Nella collana "Microgrammi" di Nonostante Edizioni appare Muga-muchū di Philippe Forest (traduzione di Gabriella Bosco, pp. 164, euro 16, con una introduzione dell'autore). Il libro costituisce una tappa della lunga frequentazione tra la traduttrice, che ha firmato quasi quasi tutte le traduzioni italiane, e quest'autore francese che in passato trovò ospitate diverse sue opere nel catalogo di una casa editrice tanto interessante quanto presto scomparsa dai radar schizofrenici dell'editoria: la padovana Alet. E come già ricordato un'altra volta, per uno scherzo geografico è una casa editrice collocata all'Est del nostro paese, a Trieste, a intraprendere un percorso ostinato e convincente di perlustrazione della narrativa e saggistica francese contemporanea (Robbe-Grillet, Duras, Cayrol, Simon, Sarraute, Cendrars e Bessette tra altri). Nel caso di Forest assistiamo all'ennesimo episodio di fascinazione di scrittori francesi per la tradizione, cultura e storia giapponesi (quasi un filone editoriale a sé stante lì, a Ovest). Muga-muchū è composto di tre parti: la corposa presentazione dell'autore, a tratti imbarazzata come è giusto che sia ogni prefazione, ma comunque non nociva, il radiodramma intitolato 43 secondi e infine Storia del fotografo Yōsuke Yamahata, il quale documentò l'immediato aftermath di Nagasaki con la propria macchina fotografica. La coppia di brevi testi si presenta quindi come un dittico su Hiroshima e Nagasaki, su un prima (nel radiodramma "tutto succede prima" dell'impatto al suolo) e un dopo, quando un inaudito evento distruttivo sancisce inesorabilmente una fine e un nuovo devastato inizio. Il radiodramma prende il titolo dai secondi impiegati dalla bomba per impattare al suolo e si configura come un dialogo spettrale tra il pilota statunitense al comando di uno degli aerei della missione e una donna giapponese che si trova nei dintorni della città. Con il secondo testo, assai più lungo del primo, siamo davanti a un altro genere di "documentalità" e possibilità della testimonianza.

Questa proposta si inserisce nel perpetuo filone della testimonianza degli eventi tragici del secolo scorso, dell'impossibilità e dei sensi della colpa di chi sopravvive e testimonia. C'è inoltre un chiaro riferimento e concentrazione attorno all'annientamento. Lo stesso titolo "Muga-muchū" rimanda a qualcosa come "senza coscienza" e si riferisce a soggetti "privi di sé, in balia del vuoto, persi nell’estasi di un annientamento in cui svanisce ogni certezza di essere ancora qualcuno". È una perdita anche di orizzonte morale per Forrest, che nella sua nota introduttiva si ritrova a ricordare il più volte discusso caso di Claude Lanzmann e del suo mega-film Shoah. Al fondo vi è un ragionamento sulla sopravvivenza che svilupperà nei due scritti racchiusi dal libro. I protagonisti sono tutti sopravvissuti e vivono il dilemma scorticante del prendere parola prima/dopo un evento d'annientamento totale. Di qui, il passo è breve per passare a scorrere lungo uno degli assi sui quali la vicenda della letteratura ha sempre galoppato: ci si riferisce chiaramente alle possibilità e varietà della testimonianza e delle sue non meno varie aporie. Come si valuta il grado di purezza di una testimonianza? In quali direzioni si sviluppa una scrittura testimoniale? Cosa passa e cosa rivive della testimonianza in un contesto - letterario, ma alla fine generale - fatto di citazioni e di riuso/riciclo dei materiali all'interno di un flusso che continuamente ridefinisce sé stesso e il contesto nel quale scorre? Sono queste alcune delle questioni delicate che il senso testimoniale della scrittura ancora mette in campo, anche in testi come quelli di Forest proposti in questo recente libro di Nonostante Edizioni.


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