Perché stranezza? Perché Bortolotti scrive prose brevi che poco spartiscono con l'ordinario o lo straordinario, ma che si situano in una regione intermedia e meno battuta che è equidistante da questi poli. Il suo equatore diventa allora una serie di prose che partono in data 17 febbraio 1790 e si concludono in data 30 marzo 1790. Quasi un breve diario, senza avere alcunché da spartire con il diario però. Queste date racchiudono un viaggio, quello dell'epigrafe di Xavier de Maistre, la quale recita: "Ho iniziato e compiuto un viaggio di quarantadue giorni attorno alla mia camera". Iniziato e compiuto, sta tutto lì il punto, anzi, i due punti: iniziare e compiere. E qualsiasi viaggio si può compiere in molti modi, anche nel mondo del turismo di massa pressoché standardizzato e chiaramente si può iniziare e compiere anche stando quasi fermi. Questo pezzo che segue è quanto si legge ad esempio oltre la metà del viaggio e credo sia opportuno riportare la prosa nella sua interezza per iniziare a tracciare il perimetro frastagliato di questa scrittura, persino della sua teoria di virgole e sillabe che iniettano nel testo una prosodia placida ma straniante:
20 marzo 1790
L'estate passò come un racconto confuso di stanze calde e sogni troppo lunghi e felici per poterli davvero raccontare, che attraversavano i pomeriggi assolati come processioni di formiche, lungo le deserte superfici in laminato della cucina. Ogni volta eravamo certi di avvicinarci a quell'inquieto enigma di cui avevano parlato le profezie, trascritte sull'intonaco, lungo i cavi elettrici, in codici alfanumerici sbiaditi. A settembre, tuttavia, le nostre imprecisioni, i nostri presupposti superati venivano sorpresi dalle ombre, che si allungavano, dalle finestre chiuse, dalle sere che si avvicendavano più rapide, dalle notti silenziose che avevamo dimenticato.
È tutto normale, all'apparenza, se non fosse che la data è il cuneo tra primavera e inverno e la prosa parla del cuneo tra estate e autunno. Questo per dire di un aspetto. Normale anche l'immaginario classico dell'estate (persino il montalismo delle formiche in processione), salvo l'insinuarsi come un fiotto del settembre e delle sue caratteristiche luminose, altrettanto "normali", descritte però come una nuova sorpresa che è animale, anormale, simile a quelle allucinazioni che si innestano nella più ripetitiva delle routine o nel più scontato degli scenari che riconosciamo come nostri. E parlando di prosodia straniante sarà opportuno accennare a come queste prose siano a tutti gli effetti un campionario di un nuovo (o rinnovato) metodo di straniamento. Ma se non è a livello linguistico o metaletterario che si colloca lo straniamento, la domanda che dovremmo porci - e che per ora rimane senza risposta - è a quale livello si situa questo nuovo straniamento che mette in asse Bortolotti. La breve prosa successiva del 21 marzo 1790 prevede poche righe:
Più di tutto ricordammo le scale, che non rivedemmo mai più. Più di tutto ci spaventò l'idea dei pianerottoli e dei gradini, che appartenevano ad altre vicende, a occasioni passate di essere oggetto del Caso, della fretta e della luce del giorno.L'andamento anaforico, già riscontrato nel precedente frammento, tradisce un finale in cui vengono messi sullo stesso piano tre elementi lontanissimi: il Caso, la fretta e la luce del giorno. Sono solo alcune delle soluzioni adottate da Gherardo Bortolotti per far esistere questa scrittura dove tutto tautologicamente sembra accadere nella scrittura solamente e mai in alcun possibile altrove. Chiaramente il luogo, che c'è ed è l'appartamento, rimanda a un precedente per nulla celato dall'autore, né in epigrafe né nel testo del 3 marzo 1790, dove assieme alle Città invisibili è citato il Voyage autour de ma chambre di Xavier de Maistre, suddiviso proprio in 42 capitoli. Questo il palinsesto di Bortolotti, insomma. E anche la citazione da Calvino non è certo casuale, anche se la "catalogazione" di Bortolotti conserva pochissimi punti di contatto con quella calviniana. Volendo aggiungere un altro nume tutelare di quest'opera direi anche i Tender Buttons di Gertrude Stein.
E la godibilità di cui si diceva in apertura? Qui chiaramente non si può assumere posizione assolutizzante, perché la lettura resta un fatto soggettivo. Tuttavia, se è vero che l'infelicità degli uomini deriva tutta dal non saper starsene tranquilli in una camera come sosteneva l'altro francese, Pascal, qui, in un viaggio attorno a un pavimento, in un itinerarium mentis tra tutto ciò che circonda, che non è né ordinario né straordinario, si situa lo spazio per una ricognizione placida e allucinata, che fluttua in un'area che permane quasi irrelata tanto alla veglia quanto al sonno. Insomma, queste storie del pavimento, queste storie di Paolino possono davvero conquistare un lettore, a patto che si dia a queste storie una possibilità e che si dia anche al lettore la possibilità di trovarle (il libro comunque è regolarmente acquistabile). Poi, di possibilità, chi leggerà scoprirà come i muri e i pavimenti di queste prose siano pieni zeppi. Nell'anno della morte di Gérard Genette, signore dei Palinsesti, una proposta da un autore italiano davvero consigliata.
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