In un panorama del genere i lavori ravvicinati di Giacomo Raccis fanno eccezione ed è opportuno segnalare anche il nuovo studio pubblicato nei mesi scorsi da Quodlibet con il titolo Una nuova sintassi per il mondo. L'opera letteraria di Emilio Tadini (pp. 168, euro 19). L'agile libro riesce nel nient'affatto agile compito di restituire la complessità dell'opera tadiniana, il suo mai allineato contributo alla lettura della complessità del reale. Tadini si confrontò davvero con quasi tutti i gruppi e le "situazioni" intellettuali a lui contemporanee, mantenendo un'invidiabile autonomia di pensiero e prassi. Raccis compie un percorso tutto sommato breve e sintetico che sa cogliere gli echi interni del corpo d'opera dell'artista-scrittore, trattando la sua poliedricità come un favorevole ausilio e non come un ostacolo (ostacolo che spesso compare nei casi di quelle figure che non si sono "specializzate" in qualcosa). Poesia, critica, pittura, romanzo, teatro, traduzione sono tutte strade percorse da Tadini e contemplate dall'autore di questo saggio, tuttavia l'accento del volume in questione è finalmente posto sull'opera letteraria, ovvero su quanto più reclamava un'analisi dedicata, con selezionatissimi e puntuali innesti e rimandi all'opera pittorica. E anche la strutturazione del percorso è cronologica e insegue i salienti di una scrittura in prosa che si contano sulle dita di una mano: Le armi l'amore del 1963, la "trilogia del giornalista miope" composta da L'opera del 1980, La lunga notte del 1987, La tempesta del 1993 e infine, postumo, Eccetera uscito nel 2002, libro nel quale Tadini orienta enigmaticamente e allegoricamente l'antenna parabolica della propria scrittura verso la fiaba, sola creazione mitica concessa all'uomo di oggi quale coscienza di liberazione da sistemi metafisici, ideologici e filosofici.
L'impalcatura cronologica adottata da Raccis diventa presto funzionale a una trattazione che raduna echi plurimi. Anche il saggio La distanza è chiaramente convocato in queste pagine, e resta centrale, se è vero che spesso la scrittura è invece un tentativo di riduzione di distanza. Non vi è un senso di divenire e evoluzione manifesta nell'opera letteraria di Emilio Tadini, semmai vi è un corpo tutto sommato contenuto di opere che lavora contro la storia e un pensiero storicista. L'approccio cronologico, in modo apparentemente paradossale, diventa una chiave per demolire la consequenzialità di visione, di linguaggio, di comprensione (detto diversamente: l'accumulo di tempo sul cervello?) che Tadini non abbraccia, prediligendo una stazione mobile della scrittura che di volta in volta si relazioni con le tante frecce che il prepotente ribollire del reale scocca. Questo accade anche quando il tema diventa prettamente "storico", come succede ad esempio ne La lunga notte, libro prominente nel variegato panorama di testi incentrati sull'Italia fascista e sulle figure che la calcarono. È la stessa frammentazione, talvolta anche linguistica, che Tadini mette in atto attraverso opere distribuite in un arco di tempo piuttosto lungo, che dialoga senza soluzione di continuità con le pressioni del presente, che trascina e compone la "nuova sintassi per il mondo", anche quando queste istanze e pressioni sembrano restringersi, isolarsi e concentrarsi in un solo nucleo, come ne La tempesta, in questo rinnovato dramma della follia consegnatoci dalla letteratura a noi più prossima, in questo regno protettivo inscenato dal Prospero tadiniano del Ventesimo secolo.
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