giovedì 13 settembre 2018

"Non sparate sul recensore", le recensioni di Giorgio Manganelli raccolte in un volume ragionato di Aragno

Recensire, strana attività in bilico. Ancora necessaria? Credo di sì. Di qui a dire cosa sarà del recensire il passo è tutt'altro che agevole. La recensione è un testo strumentale e non è soltanto pubblicità per un libro o un'altra opera d'intelletto (per quanto sia talvolta anche pubblicità). È un'attività che deposita una prima ricezione e anche inevitabilmente una prima polvere e crosta interpretativa su un'opera, sul suo percorso che - nel caso dei libri - resta per fortuna incalcolabile. Gore Vidal scrisse che "affermare che il destino dei libri è incalcolabile è esagerare con l'understatement" e in linea di massima possiamo essere d'accordo. Anche quando si prova in molti modi a confezionare, prevedere e accompagnare il destino di un libro, questo resta tutto sommato incalcolabile. Il successo fulmineo non è garanzia di long-seller e un iniziale fiasco può diventare alla lunga un libro diffusamente letto. Cose note. Ma tralasciamo gli estremi e torniamo a quella peculiare pubblicità che è la recensione. Oggi lo stato del recensire non è del tutto inquadrabile e pertanto sfugge. Tra l'altro, quanto vengono pagate le recensioni, se vengono ancora pagate? Suppongo qualche decina o centinaia di euro, nel migliore dei casi, se non si è dei Claudio Magris. Sussistono spazi di approfondimento e analisi efficaci, attraenti, ma viene passata per recensione anche un'attività stanca e stancante di scrittura che spesso insegue, più che un'opera, un determinato profilo autoriale considerato il cavallo su cui puntare in quel frangente. Recensire è diventata un'attività nella quale raramente fanno apparizione coraggio, capacità di visione del diamante-opera nelle sue sfaccettature, rischio e altri requisiti necessari all'elogio ancor prima che alla stroncatura. Inoltre c'è da dire che si sta disquisendo senza considerare lo slittamento semantico in atto, per cui "recensione" è sostanzialmente un commento successivo a un acquisto lasciato su una piattaforma di ecommerce che diventa determinante per i futuri acquisti di quel bene o servizio. Se le cose stanno circa così, qualcosa ci stiamo perdendo e continueremo a perdere di un certo modo di scrivere attorno a libri, mostre d'arte o film, un usus scribendi che non è strettamente critica letteraria, critica d'arte o cinematografica. Di certo lo sguardo non deve essere rivolto solo al passato, perché restano nuove vie da sperimentare (ad esempio le videorecensioni, con qualche simpatica deriva a mo' di televendita, non distante da certe presentazioni librarie). Tuttavia non c'è molto da stupirsi se una certa cura e passione nel recensire è venuta meno: se la nostra giornata è dispersa in mille rivoli di post, commenti, controcommenti, quali risorse attentive restano alla recensione, per chi vuole scriverla e chi vuole leggerla? Non vi è critica in queste considerazioni, semmai la necessità di prendere coscienza di un cambiamento, anche nella capacità di concentrazione largamente intesa. E ancor più a fondo, che risorse restano per la coabitazione con le opere di ingegno, siano queste libri o altro, in questo paradigma di accelerazione e di autopromozione costante e infinita? Difficile dirlo. 

Eppure leggere, ci ricorda uno scritto su Pavese del libro di oggi, è un "modo come gli altri di fare la storia, di esistere, di prendere partito" e "una pagina, letta o scritta, è innanzitutto un gesto, compiuto da una creatura reale, in un luogo e un tempo realmente accaduti". E per arrivare a leggere si può passare prima per una recensione. Per farsi un'idea di cosa abbia voluto dire la pratica del recensire nel caso limite di un autore eccezionale della nostra storia letteraria, possiamo sfogliare, leggere o piluccare da questo corposo volume che Aragno ha pubblicato con il titolo Non sparate sul recensore (a cura e con una prefazione di Lietta Manganelli e Michele Farina, euro 35). Sono qui raccolte le recensioni scritte da Giorgio Manganelli in quasi mezzo secolo, dagli anni Quaranta agli anni Novanta. Il volume porta in salvo scritti anche molto brevi e divenuti difficilmente consultabili. A volte queste note di lettura assomigliano a delle schede sintetiche e in questo si potrebbero accostare a  quanto è già apparso su Estrosità rigorose di un consulente editoriale pubblicato da Adelphi e del quale s'è scritto qui (tra parentesi: per i fan del Manga, ho trovato davvero bello il breve reportage di viaggio intitolato Africa uscito da poco, sempre per Adelphi). E come nel caso di Giuseppe Berto e Soprappensieri. Tutti gli articoli 1962-1971 o di Luigi Sampietro e La passione della letteratura va riconosciuto il merito dell'editore Aragno di aver raccolto in un corpo unico ciò che era davvero disseminato e difficilmente reperibile. Lietta Manganelli ci ricorda che il merito va riconosciuto inoltre a Michele Farina, giovane studioso che, armato di fotocamera digitale e grande pazienza, è andato a scartabellare scritti che ormai diventavano inaccessibili anche nelle più fornite biblioteche della penisola.

Manganelli, nato a Milano da genitori emiliani, inizia presto a collaborare con "La Gazzetta di Parma", giornale che in un certo senso inventa la pagina culturale del dopoguerra italiano, come rammenta la figlia dello scrittore nella sua nota introduttiva. La preoccupazione per il conto economico è chiaramente centrale nella sua poderosa attività recensoria e del resto, sempre in quelle pagine su Pavese, ci ricorda che la letteratura "non è meno reale (e neppure di più) dell'economia". Procurarsi i libri nel dopoguerra è quasi un'avventura e soltanto più tardi, con il boom economico, le case editrici diventeranno più generose e elargiranno copie gratuite per la stampa con maggiore facilità. Il libro di Aragno diventa una cavalcata, suddivisa per annate, delle collaborazioni di Manganelli per riviste quali "La Giostra" (una rivista studentesca del liceo Beccaria di Milano), "Il Ragguaglio Librario" (una parte cospicua del volume), "Paragone", "Letterature Moderne", "Aut Aut", "Il Mulino", "Il Gatto Selvatico", "Tempo presente", "Il Punto", "L'Europa Letteraria", "L'illustrazione Italiana" (altra cospicua collaborazione), "Il verri", "Il Menabò", "Quindici", "Il Caffè", "Mondo Operaio", "Libri Nuovi", "Alfabeta", "Il Piacere", "Kos", "Il Moderno", "Nuovi Argomenti" e "Italia Oggi". 

Con Mario Praz, Manganelli è stato uno dei grandi traghettatori della letteratura inglese e anglo-americana del dopoguerra e notevole è anche il suo spoglio periodico delle riviste britanniche qui riassunto. In questi contributi recensori, diversi per ampiezza, approfondimento, scrittura, portata e sguardo, possiamo estrarre nuovi punti di partenza per tornare a fissare la traiettoria di scrittori più o meno noti, dall'amato Poe di cui fu traduttore, a Orwell, a scrittori meno conosciuti, che Manganelli ci porge con il gusto tipico del recensore che racconta di una scoperta (si veda lo scritto su Werner Bergengruen). Singolare l'attenzione prestata a John Dos Passos, un autore tradotto in modo discontinuo e incompleto in italiano (pare non abbia mai venduto bene nel nostro paese, così si dice tra gli addetti ai lavori, e in questo frangente del Centenario della Grande Guerra nessuno ha pensato di ritradurre Three Soldiers). Nuovo è anche il suo punto di vista su Pavese e fulminanti le due paginette su Tozzi, in cui invita a strapparlo dalla Toscana e da Siena e valutarlo per quel che è, fuori da inconcludenti e pericolosi discorsi di autobiografismo e psicologismo. Federigo Tozzi è uno scrittore che evoca fantasmi e evocare fantasmi è quello che fa da sempre la letteratura, in questo strettamente imparentata con la negromanzia e la cattura di ombre. Insomma, come lasciato intuire in apertura, questo libro, tratteggiando una precisa idea di letteratura senza ricorrere a un sistema, documenta un'attività che ci spinge realmente a interrogarci sul senso del recensire oggi. Non c'è necessariamente una risposta a un simile interrogativo che Manganelli ci lancia con questo volume confezionato dalla figlia Lietta e da Michele Farina, anzi. Anche il silenzio (o il non recensire più) è contemplato come possibile risposta.

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