lunedì 17 settembre 2018

"La parola braccata" di Valerio Magrelli: dimenticanze, anagrammi, traduzioni e qualche esercizio pratico

Il continente dei Translation and Interpreting Studies (TIS) si sta allargando sempre più. La formula fortunata, inaugurata negli anni Settanta con James S Holmes e poi potenziata, fa da cornice a un universo crescente di una miriade di pubblicazioni, ricerche, speculazioni e finanche scommesse teoriche che coinvolge necessariamente un insieme largo di discipline, che va dalla linguistica alle neuroscienze e che chiaramente non si limita a riguardare lo stato delle cose nell'ambiente a volte un po' triste delle humanities (o digital humaties) bazzicato anche da questo blog, ma si allarga a una pluralità di settori e applicazioni davvero considerevole. Pensiamo anche ai software o alle piattaforme digitali che ogni giorno frequentiamo e che aprono la porta a una branca di questi studi che potremmo far ricadere nella terminologia (esemplificando: come si arriva a tradurre il "Save as" del menu "File" dei vari software con "Salva con nome" in italiano, "Enregistrer sous" in francese, "Guardar como" in spagnolo e così via?). I famosi contenuti di cui è sovrappopolata la rete - content is king, voleva la celebra massima - viaggiano dentro interfacce che sono sostanzialmente identiche nel funzionamento e nell'aspetto grafico e che mutano quasi esclusivamente l'ambiente linguistico che le accoglie. Tornando alla traduzione nell'ambito delle nostre humanities, fortunatamente non si parla più, già nella formula di cui dicevamo in partenza, di traduzione soltanto e ancora più fortunatamente pare siano ora un lontano e brutto ricordo espressioni aberranti che andavano per la maggiore fino a qualche tempo fa, quando si parlava di traduzioni "belle e infedeli" o "brutte e fedeli". Capire come si sia arrivati a questi mostri concettuali sarebbe un percorso a parte, interessante e significativo per comprendere le scorribande del pensiero umano, ma non è ciò che interessa primariamente a Valerio Magrelli nel volume La parola braccata. Dimenticanze, anagrammi, traduzioni e qualche esercizio pratico pubblicato da Il Mulino (pp. 224, euro 20). Questo libro si pone lo scopo di avvicinarsi a cosa accade nella mente in quel momento di sforzo prolungato nel quale volgiamo qualcosa da una lingua a un'altra. Davvero la traduzione è un atto, una scelta, un bivio continuo tra i più complessi che riguardino l'umano. Allo stesso tempo, vuoi per i ritmi elevati dei processi produttivi a cui le stesse traduzioni sono sottoposte, incluse chiaramente quelle letterarie, vuoi perché tutto rischia di non incuriosire più, l'evento mentale della traduzione, ad un livello di sentire comune, passa spesso in secondo piano, per quanto restino chiare a tutti le fondamentali implicazioni culturali, politiche e ideologiche di qualsiasi traduzione passata presente e futura sulla faccia della terra.

La parola "braccata" del titolo è quella cercata da chi traduce e si trova magari a vivere la sensazione di avere quella parola ricercata "sulla punta della lingua". L'immagine del titolo è venatoria, perché braccare vuol dire anche stanare una preda per spingerla verso il cacciatore. Allo stesso tempo è un'immagine territoriale perché territoriale è qualsiasi traduzione. Eppure, come dice il sottotitolo, a Magrelli interessano le esitazioni, gli imbarazzi e persino le dimenticanze, ossia quel che resta sulla punta della lingua e non si scioglie in una scelta traduttoria precisa. Insomma, il traduttore non è un cacciatore. Per impostare il proprio ragionamento, più che rifarsi alla gran matassa dei "TIS" di cui sopra, Magrelli torna a Benvenuto Terracini lettore di Agostino e alla considerazione di quel fragile ponte che si instaura tra la presenza di un originale (il testo da tradurre) e l'assenza di qualcosa di nuovo (il testo tradotto) e che sfocia nella concezione di una traduzione come processo di rammemorazione. 

Il volume, introdotto da un'utile prefazione che intende collocare questo contributo nel grande panorama degli studi sulla traduzione, si sviluppa in due parti. La prima, di carattere concettuale come l'introduzione, asseconda il desiderio di "indagare le affinità fra l'atto traduttorio e alcune forme di attività mnestica, a cavallo fra competenze linguistiche e procedure attivate nell'atto del ricordo". I numi tutelari, oltre al già ricordato Terracini, restano Luciano Anceschi e l'imprescindibile Emilio Mattioli, e la casistica qui trattata abbraccia sollecitazioni da Saussure, Freud, Lurija, George Eliot, William James, Douglas R. Hofstadter o dal sinologo svizzero Jean François Billeter. Ricalcando Nabokov dei Problems and Poems (1969), Magrelli chiama Problemi questa prima parte. La seconda parte del volume, quella dei Poemi (parola preferita a "Poesie" per l'evidente allitterazione dell'originale nabokoviano), si limita a dei rilievi tratti dall'esperienza e agli esercizi pratici di cui ci rende partecipi il sottotitolo di questo libro. Ecco allora esercizi di capo o acrostici, esercizi di coda o rime, esercizi di verso o metro, esercizi di cifra in un indovinello, esercizi di segno o calligrammi (come tradurre la forma delle lettere?). Il finale, proprio per distoglierci dall'ambiente della sola letteratura, ci porta tra gli esercizi di tempo o sottotitoli, peculiare vicenda di traduzione per il cinema. L'impostazione del volume, sicura e rabdomantica al tempo stesso, giova al nucleo di problematicità affioranti e fluttuanti pagina dopo pagina e anche a quel nucleo di questioni che rimane inevitabilmente e giustamente sottotraccia, quando si affronta questo tema spinoso eppure potenzialmente estatico.

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