giovedì 19 gennaio 2012

"La suora giovane" di Giovanni Arpino

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #7




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Ognuno ha delle fisse. Coi libri poi sono sicuro ne scopriremmo delle belle. Io compro un libro di Arpino all'anno e da due anni faccio questo alla libreria Borri della Stazione Termini. Ho iniziato con L'ombra delle colline e quest'autunno ho messo l'indice su La suora giovane. Dalai sta riproponendo i suoi romanzi in edizioni più maneggevoli di un Meridiano. Il brevissimo La suora giovane è un libro splendido, rigoroso, perfetto.
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Romanzo breve del 1959 (ora per Dalai, pp. 128, euro 6,90), racchiuso in forma diaristica in una manciata di giorni a cavallo di un periodo natalizio. Antonio Mathis, il ragioniere quarantenne protagonista, vive la routine nell'ufficio, della fidanzata, qualche avventura con una collega, amante di corridoio. Tutto è calmo, piatto, adagiato sullo sfondo di una Torino invernale tratteggiata con una felicità pittorica fuori dal comune (buio, tram, alberi spogli, gelo, muri rovinati, nebbia: qui il paesaggio appare correlativo oggettivo della condizione di vita di Mathis). Tutto è calmo finché Antonio Mathis non intercetta alla fermata del tram lo sguardo di Serena, una giovane suora che gli lancia un lacerante richiamo d'attenzione e comunicazione. Inizia così una serie di strategie di avvicinamento che in realtà sono un cadere nella rete tesa da Serena, un'astutissima suora di origini contadine, con una vita già indirizzata dalla madre, desiderosa di sottrarla alla avvilente crudezza della vita contadina. Ma Serena è un personaggio squisito, nel senso etimologico, compiuto, che ha conservato un'astuzia e una vivacità straordinarie, tanto straordinarie da diventare, in presenza o in assenza (ad un certo punto farà perdere le proprie tracce), il vero protagonista, quasi il ghost writer del diario: arriviamo al paradosso di un diario scritto da Mathis ma in realtà dettato dalla grande figura e dalle azioni di questa giovane suora non ancora ventenne (metà degli anni di Mathis), scaltra e motivata a fuggire al proprio destino, in uno strano gioco circolare che vede il borghese Antonio cercare di scuotere la propria alienazione e la "genuina" Serena pronta a intercettare Antonio per aspirare ad un matrimonio borghese e fuggire i voti. Lui è un uomo con reputazione di uomo vero e equilibrato, ma in realtà pieno di paure. Lei appare forte e sicura, ma ammette esplicitamente un bisogno di protezione.

Sorprende come in poche pagine (in questa condensazione credo si possa dire che la forma diaristica abbia aiutato non poco Arpino) possiamo seguire il ragionier Mathis nel momento topico della prima parola rivolta alla suora, nell'incontro prolungato sul pianerottolo dell'abitazione del malato del quale lei si occupa la notte, persino in una squallida e svogliata vigilia di Natale trascorsa con la fidanzata Anna e i colleghi di lavoro, fino al magistrale, tirato e perfetto capitolo finale dove avviene una specie di agnizione in absentia resa possibile dal lungo colloquio di Antonio con la madre di Serena, laddove osserviamo il protagonista traslato da Torino alla campagna di Mondovì, in un cambio fisico netto di ambientazione che prelude a un finale apertissimo: qui Mathis scopre che Serena, di cui da tempo non aveva notizie e per la quale ha vissuto giorni d'angoscia, è partita per Ferrara, lasciandolo nel turbamento di decidere se seguirla o meno. Bellissima la scena finale in cui Mathis si reca in stazione dei treni e trova un cartellone di orari tutto unto e macchiato su Mondovì e uno pulito su Ferrara, la nuova residenza della giovane suora. Ma notevole anche la ricreazione del rapporto madre-figlia nella totale mancanza di interazione tra queste. Quest'aspetto è sicuramente un punto di forza de La suora giovane.

Questo romanzo si pone sin dalle prime mosse come romanzo di rottura dell'ordine, com'è ogni innamoramento. In questo è molto teatrale, pur nella sua forma diaristica così riuscita. Allo stesso tempo è un romanzo di un amore di cui non conosciamo l'esito, ma di cui conosciamo la scaturigine, il punto di incontro:

"Oggi, di colpo, ho capito cosa lei mi ha già dato: questa consapevolezza, questa capacità di vedermi come sono realmente, come sono sempre stato. Mi ha costretto a scoprirmi, ed ora so chi sono, quella pulce, quel niente travestito da uomo ammodo, quarantenne, rispettabile, buon partito".

Devastanti e illuminanti queste parole di Mathis, un uomo che senza l'incontro con Serena sarebbe destinato ad un desolante principio di conservazione in perfetta simbiosi con la squisita ambientazione invernale. Sublime poi la reticenza arpiniana sull'aspetto fisico di Serena. In fin dei conti lei è una suora, è velata, il libro si inserisce in una tradizione lunga, nel topos che passa anche per Piovene, Verga, e prima ancora per Manzoni, ripreso all'interno di queste pagine dal protagonista Antonio ma presto lasciato perdere, per incapacità di avvicinare una storia così vera, per incapacità di esser d'aiuto al protagonista. Ma si arriva sino a Diderot. Eppure, per tanti versi, Arpino sbaraglia questa tradizione-topos, con una manciata di pagine formidabili. Di Serena, del suo corpo, sappiamo pochissimo. Abbiamo qualche tratto del suo volto pallido, è chiaro che il ragioniere non prova desideri carnali per lei. Sappiamo anche cosa impara da tutta questa vicenda, anche se non sappiamo quale destinazione prenderà Mathis col treno in quella bellissima scena finale:

"Sono sicuro, adesso, di quello che voglio, proprio perché so cosa significa voler bene e la vita non è più fatta di ore che vengono a galla per poi sciogliersi una dopo l'altra".

Montale, che salutò questo breve libro come "capolavoro del suo genere", aveva forse visto nel personaggio di Serena una rivisitazione narrativa del proprio visiting angel? A Montale, come ad altri scrittori, capitava spesso di trovare e riconoscere nelle opere altrui qualcosa che aveva già in lavorazione nel proprio cantiere poetico, qualcosa sul quale aveva già scritto o qualcosa sul quale sarebbe prima o poi arrivato a scrivere. Questo è tutto sommato normale. Credo comunque rimanga intatta la sorpresa che, ora come cinquant'anni fa, la lettura di questo libretto arpiniano sa regalare. Stupefacente... nella brevità.

7 commenti:

  1. Grande Arpino... davvero. Anche se esiste il Meridiano considero Arpino un autore che non riceve le attenzioni che merita. Ed è un peccato..... questo libretto poi, letto anch'io da poco... ciao, Raffaella

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  2. Libro magnifico. Se ne parla pochissimo. Sono tante le scene indimenticabili. Grazie. Fabio

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  3. Prossima lettura, probabilmente. Grazie, a buon rendere?
    Giorgio

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  4. "Non avessimo bisogno delle donne saremmo tutti signori" ma cosa vorrebbe dire ?? LUlla
    complimenti questo è il blog che cercavo sono una lettrice dalla palpebra molto pesante... i libri sono come i sogni...per me.
    :)

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  5. Caro Alberto, mi stuzzica ma non mi convince del tutto l'idea che Serena sia quasi un visiting angel montaliano. O meglio, credo che sia così fino all'ultima pagina di diario. Ma poi, quando si rivela la vera natura di Serena, cambia tutto!

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  6. Caro Alberto, mi stuzzica ma non mi convince del tutto l'idea che Serena sia quasi un visiting angel montaliano. O meglio, credo che sia così fino all'ultima pagina di diario. Ma poi, quando si rivela la vera natura di Serena, cambia tutto!

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  7. Cara Chiara, in effetti a pensarci hai ragione, pensarla "visiting angel" è stato un errore precipitoso. Grazie per questo pensiero su questo libro

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