martedì 1 gennaio 2013

"La casa bianca" di Herman Bang

Complice il centenario della morte, nel 2012 Iperborea ha ripreso a pubblicare i romanzi di Herman Bang con una certa regolarità. Lo scrittore danese, nato nello Jutland nel 1857 e morto negli Stati Uniti nel 1912, giaceva infatti da più anni in una trascuratezza editoriale per molti versi inspiegabile. La casa editrice specializzata nelle letterature del Nord d'Europa, guidata dalla bravissima Emilia Lodigiani, torna quindi su questo autore, dopo averne pubblicato nel 1999 I Quattro Diavoli, e facendo uscire in rapida sequenza L'ultimo viaggio di un poeta, La casa bianca e La casa grigia. Ed è del primo titolo del dittico che vorrei qui dar notizia, La casa bianca, Det hvide Hus nell'originale (pp. 144, euro 13, traduzione di Hanne Jansen e Claudio Torchia, con una postfazione di Luca Scarlini). 

Il breve libro è allora un'opportunità per avvicinarsi ad uno scrittore al quale guardavano con attenzione Thomas Mann e Rainer Maria Rilke. Forse giova una rapida incursione pittorica e ricordare Monet che guardò a lui come precursore dello stesso Impressionismo. Ed è curioso pensare che gli stessi impressionisti siano andati a scovare i propri "precursori letterari" a nord, nel caso di questo libro nell'isola di Als, dove si trova la residenza di campagna del pastore Fritz Hvide (capite ora perché vi abbia citato anche il titolo originale), scenario delle vicende. La casa bianca è il mondo e il colore dell'infanzia, mentre la successiva casa grigia, dove è ambientata la seconda parte di questa sorta di dittico, è la casa dell'adolescenza: anche per questo motivo ha senso iniziare a leggere Bang proprio da La casa bianca. Il libro appartiene alla cornice di opere autobiografiche e legate all'infanzia. Lo scenario ozioso della casa, animata dall'anima gentile di Stella, carattere fortemente contrastante con la rigidità di Fritz, è posto in contrapposizione alla collocazione della Danimarca nel contesto bellicoso delle cosiddette guerre dello Schleswig.

Per quel che mi riguarda, avvicinare libri simili significa interrogarmi su un fatto, cioè sulla "femminilizzazione" della pratica della lettura in Italia. Mi pare sia evidente e a volte credo che la confezione dei libri lo confermi: sono principalmente le donne a leggere, a decretare il successo di un libro o di un autore. Ci si metta pure il cuore in pace e si parta a riflettere, con l'anno nuovo che inizia, anche su questo dato statistico e di genere, un dato tra l'altro noto ad ogni editore. Non sto naturalmente dicendo che gli uomini non leggono, sto affermando che senza l'apporto femminile i numeri dell'editoria sarebbero completamente diversi da quelli attuali. Questo dato ha delle ripercussioni, non è certo negativo in sé, anzi, ma invita a porsi delle domande. La stessa pregevole linea editoriale di Iperborea sembra stia lì a rimarcare questa cornice.

Tornando al nostro Herman Bang, è probabile che di lui si continui a parlare, nei grandi discorsi su dandismo e omosessualità a cavallo tra Ottocento e Novecento, delle sue esperienze con il teatro (Eleonora Duse, alle prese con Ibsen, si affidò ripetutamente a lui) e persino del suo essere quasi un regista ante litteram. La sua opera ammaliò pure Stanislavskij. Claudio Magris ne parla come del "poeta dell'inespresso". Insomma, Bang è senza dubbio una di quelle figure con le quali, a cadenze più o meno regolari, la storia delle letterature è chiamata a fare i conti. Quando capita l'occasione "comoda" e pure "breve", meglio approfittare.

(Con gli auguri di buon 2013 a tutti i lettori del blog.)

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