Non mi ritengo un avido lettore di fumetti. Non sono mai mancati tra le mie letture, ma la frequentazione è stata sporadica, non costante. Li ho sempre osservati con grande interesse, sempre cercati, ma in fondo il rapporto è rimasto a temperature basse (quelle che poi sono anche le più indicate per conservare ciò che alimenta). So che ci sono lettori che nutrono verso questa forma, tutto sommato da "libro breve", un trasporto totale che farebbe impallidire qualsiasi mio tentativo di provare a dire qualcosa su una novità editoriale. Ma poi penso che credo anche nei neofiti, all'avvicinarsi ingenuo e senza troppe (sovra)strutture ad una forma che non è il nostro daily bread. E poi sono convinto che questo tipo di visuale debba interessare chi pubblica fumetti oggi, se desidera provare ad allargare la base di lettori, altrimenti confinata dentro le secche e l'infertilità del versante meno affascinante dello specialismo (non dimentichiamo anche il canale distributivo del tutto peculiare e dedicato di cui questi libri hanno disposto: la fumetteria). Tra queste realtà editoriali mi è già capitato di ricordare Becco Giallo, tempo addietro, per un libro dedicato alla figura di Adriano Olivetti, e naturalmente non potevo mancare di menzionare un nome col quale familiarizzai ai tempi della rivista "daemon", quando davamo con assiduità notizia delle sue uscite più importanti: mi sto riferendo a Coconino Press (da qualche tempo Cononino Press/Fandango).
Ciò che ha attirato la mia attenzione è un volume di Emmanuel Guibert intitolato L'infanzia di Alan. Dai ricordi di Alan Ingram Cope (pp. 164, BN + colore, euro 18). Prima di addentrarmi nelle pagine, penso meriti qualche cenno anche l'autore, che con i testi di Joann Sfar ha già ottenuto riconoscimenti come il Prix Goscinny e che in Italia ha avuto modo di farsi conoscere per la vittoria del premio Micheluzzi al "Comicon" di Napoli.
Il fumetto di cui scrivo è dedicato ai ricordi californiani di Alan Ingram Cope, nato in quello stato americano nel 1925. Sono frammenti di vita, catturati da tutti i sensi, in varie epoche, che cozzano con il nostro immaginario, con le cose note e quelle ignote che lo popolano. In mezzo, quell'evento capitale che fu (anche per l'arte) la Grande Depressione iniziata nel 1929. Il libro fa parte di un trittico di titoli che l'editore ha pubblicato. L'autore, che ha conosciuto il protagonista di queste tavole, ha raccontato pure La guerra di Alan (in tre volumi). Non aspettatevi grandi narrazioni epiche, il senso della vita o della California e più in genere della provincia americana prima della Seconda guerra mondiale o della svolta indelebile impressa dalla Grande Depressione. Il senso bello della lettura di questo libro (tanto breve quanto lungo, se vorrete indugiare sul disegno) è nei varchi che stanno proprio su queste tavole, su quegli episodi in fondo minimi, gratuiti e comunissimi, sul trattamento dell'immagine, su certe "scalature" della dimensione dell'uomo, ridotto a silhouette nera avvolta dal biancore della solitudine, nell'ambiente in cui vive e invecchia. Non sono pochi gli intrecci che da Guibert e dal suo tratto possiamo registrare con grandi nomi della letteratura e del cinema americano, che tanta parte hanno avuto nella storia del nostro immaginario novecentesco. Ma il tutto avviene all'insegna di una levità che il fumetto tiene tutta in sé.
Non sono un esperto, come dicevo in apertura, e non so a quali coordinate rinviare per l'interpretazione piena dell'opera di questo autore. Ma in fondo me ne infischio, e credo stia qui anche il nocciolo (bello) di tanta arte del fumetto. A maggior ragione, se qui, anche in questo libro, ci troviamo davanti ad un interrogativo fondante, ciò quello che riguarda il ricordare i ricordi di altre persone, come fa Guibert con l'amico Alan Ingram Cope. Sono interrogativi ciclopici, ai quali il secolo scorso, più intensamente di altri forse, ha cercato di dare una risposta, anche con riferimento alle grandi catastrofi (l'olocausto in primis). Di lì qualcuno, soprattutto in ambito americano, ha iniziato a parlare e scrivere con sempre più insistenza di postmemory. Rischiamo tuttavia di allargarci a territori troppo vasti (anche se il passo da Guibert al Maus di Spiegelman, per fare un nome assai noto, potrebbe essere breve). Basti qui concludere che il lavoro di Guibert opera in una non consueta direzione di rianimazione del passato (così lontana dall'odiosa, detestabile e insulsa rievocazione di questo). Posso concludere così, a prescindere dalla mia ignoranza in ambito fumettistico, e questa persuasione è anche ciò che di questo bel libro continuerò, con ogni probabilità, a portarmi dietro (dentro?).
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