La lapide di Rilke a Raron |
"[...] Ciò nondimeno, anche quel che lei dice della prova continua che il silenzio di una casa isolata impone, mi è ben noto e ne ho subìto l'angoscia e il pericolo in svariate epoche della mia esistenza. Si comincia, in rifugi come questo, a fare ordine, ma è impossibile fare sempre ordine. Disordine passeggero, ignoranza di se stessi, incoscienza: altrettanti elementi della nostra mutevole fisionomia. Queste case di campagna sono fatte affinché vi si ritorni; ma da quanto devono esserci affinché vi si possa ritornare? Ritornarvi dopo tutta una vita rischiosa e agitata, come fece Conrad; dopo aver vissuto una vita, una vita così avversa alla contemplazione, e perciò piena di essa, ribollente di essa, e, senza sapere se (già!) ci si rinuncerà veramente, sedersi nello stesso posto in cui (di fronte a un fuoco che recita sul piccolo palcoscenico di un camino) si erano riposati gli antenati. Altro rischio di Muzot: quello di "recitare" ritorni che, ahimè, non ritornano abbastanza da lontano né ritrovano un focolare autentico. A questi ritorni l'immaginazione di chi ritorna, invece di riposarsi, deve fornire di tutto: un passato inesistente o estraneo, e il presente incompleto della magione; con un proprio gesto, involontario, si vorrebbe correggere la mancanza di dolcezza di una donna e disporre certe cose come le avrebbe disposte lei. E la voce si rattrista di non essere più udita dai cani.
Grazie per Lord Jim! Non lo comincerò più qui questo libro dalle pagine intonse... Sarà per Muzot, per l'estate. Grazie!"
Se il nostro sguardo si posasse sulla bibliografia rilkiana noteremmo che Les roses risalgono al 1924 e Vergers al 1926. Sono proprio gli anni di queste lettere. Questa corrispondenza botanica di Rilke appare quasi come un potente viatico verso la morte. Come noto, sulla lapide del cimitero vallese di Raron si leggono questi suoi versi: "Rose, oh reiner Widerspruch, Lust, / Niemandes Schlaf zu sein unter soviel /Lidern." ovvero "Rosa, pura contraddizione, piacere / di essere il sonno di nessuno sotto tante / palpebre." (così nella traduzione di Giuliano Baioni).
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