martedì 2 settembre 2014

da "Il padiglione di porcellana. Versi cinesi" di Nikolaj Stepanovič Gumilëv

 Una poesia da #42


Ricordato per il suo contributo teorico all'acmeismo, insieme a Gorodeckij, per il suo amore senza fine per Théophile Gautier del quale fu traduttore e per i suoi numerosi viaggi che riverseranno nella sua poesia accenti esotici e avventurosi, Nikolaj Stepanovič Gumilëv (1886-1921) è un poeta russo di cui si sente poco parlare. Qualche anno fa, nel 2005, le Edizioni San Marco dei Giustiniani di Genova, che con il loro catalogo costituiscono pur sempre una sacca di resistenza di alcuni titoli e autori della letteratura europea, pubblicarono un libretto curato da Paolo Galvagni e intitolato Il padiglione di porcellana. Versi cinesi (pp. 64, euro 8, ancora disponibile). Durante la Prima guerra mondiale, tra il '17 e il '18, Gumilëv si trova a Parigi, ed è qui che viene travolto da un'ondata di fascinazione per l'Estremo Oriente e fu in quel periodo che il poeta scrisse il libro di cui parliamo ora, assieme a un altro a tema cinese intitolato Due sogni. L'aspetto curioso è che questo libro è in sostanza un libro di traduzioni di liriche cinesi e indocinesi condotte non certo sulla lingua originale (che non conosceva) bensì sul libro Le livre de jade di Judith Gautier. Il trasporto di Gumilëv non è nuovo e si inserisce in un solco profondo di interesse per la cultura e la lirica cinese (basti menzionare Cathay di Ezra Pound che data 1915 o il caso italiano di Arturo Onofri e del suo quaderno di liriche cinesi tradotte intitolato Palazzi di giada, tra il '14 e il '16). A me questo poeta, questi percorsi, questi incontri e queste "traduzioni" interessano soprattutto con riguardo ai momenti in cui la poesia sembra necessitare di nuovi innesti, per non seccarsi dentro uno stesso panorama linguistico, dentro uno stesso immaginario, dentro una versificazione vigliacca, a costo di passare per traduzioni di traduzioni di traduzioni di traduzioni... anzi, forse deve proprio passare per traduzioni di terza o quarta mano.













LA CASA
La casa dove giocavo da bambino
è stata divorata dal fuoco implacabile.

Sono salito su una nave dorata,
per dimenticare il mio dolore.

Suonavo per la luna sublime
un flauto mirabilmente adorno.

Ma una nube leggera ha coperto
la luna, da me rattristata.

Allora mi sono girato verso la montagna,
ma i canti non mi venivano in mente.

Pareva che tutte le gioie dell'infanzia
fossero bruciate nella casa devastata.

E mi è venuta voglia di morire, 
mi sono chinato verso l'acqua.

Ma una donna su una barca è guizzata
come il secondo riflesso della luna.

E se lei lo desidererà
e se la luna lo consentirà,

Mi costruirò una casa nuova
nel suo cuore recondito.

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