Librobreve intervista #49
Oggi propongo un'intervista a Simone Maria Bonin, traduttore e curatore del volume del poeta statunitense Hart Crane intitolato Atlantide (Thauma edizioni associazione culturale, pp. 238, euro 10). Mi risponde dall'Inghilterra dove vive e studia matematica e questa chiacchierata a distanza, per molti versi, è una boccata d'aria fresca.
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Hart Crane (1899-1932) |
LB: Hart Crane era scomparso dalla circolazione in
Italia, pur avendo avuto in passato anche importanti edizioni (si ricordi
soltanto quella di Guanda curata da Roberto Sanesi). Ci racconti del tuo
avvicinamento alla sua opera, dando anche qualche coordinata su questo autore?
R: Ci sono autori
che amano disperdere le proprie tracce. Hart è fra questi. Nasce in Ohio nel
1899 ed è figlio del nuovo secolo delle macchine, per la quali ha un forte
interesse. Non nasconde la propria omosessualità e questo, nell’America
puritana del tempo, gli rende la vita difficile. Si scontra continuamente col
padre e vagabonda da un posto all’altro in cerca di lavori per sostenersi.
Scrive nei ritagli di tempo e la frustrazione di non potersi dedicare alla
Poesia lo perseguiterà tutta la vita. C’è un constate richiamo all’oceano nei
suoi scritti. Crane è una vera e propria mere-maid, un compagno del mare. Alza
la voce dai fondali marini aspettando un eventuale palombaro che ne percepisca
il suono e si immerga e lo riporti in superficie, giusto per qualche istante. Ricordo
di essermi avvicinato alla letteratura americana a 14 anni. I miei primi
contatti furono con Leaves of Grass di Whitman, un libro che porto con me
dovunque vada. Scoprii poi le impennate linguistiche di Cummings, gli scritti
di Ezra Pound, per il quale ho una lieve ossessione e poi Masters, Moby Dick e
infine gli ordigni esplosivi della beat generation, penso a Howl, Naked Lunch o
Mexico City Blues. Un giorno lessi un commento di Ginsberg circa il lavoro di
Crane, che non conoscevo. Lo chiamava un esempio di Stupidità e Genio fusi
assieme. Mi informai sull’autore e incuriosito dal commento mi feci arrivare
dagli Stati Uniti una vecchia copia dei Complete Poems di Crane, edita
Doubleday Anchor Book. Non riuscivo a coglierlo. L’inglese di Crane è un
inglese difficile, ricco di termini ricercati e riferimenti alchemici. Sta di
fatto che c’era qualcosa in quel libro che richiamava la mia attenzione. Alcuni
distici furono per me una rivelazione.
In quel periodo
traducevo e scrivevo molto. Stavo lavorando a una traduzione del Prufrock di
Eliot e delle canzoni di Blake. Così decisi di provare a mettere le mani su
Crane. Fu un tentativo fallimentare. Non avevo né la capacità tecnica
necessaria né una comprensione dell’inglese adeguata per renderlo in italiano.
Decisi di mettere il progetto da parte, con il sogno e la convinzione che un
giorno ci sarei riuscito e così è stato.
Credo che il
significato del verbo “leggere” sia un equivoco linguistico. Si guarda spesso a
un libro come a un codice da decifrare e immagazzinare attraverso lo sguardo.
Sono di un parere contrario. Il foglio in questo caso è il nostro corpo. Il
libro, o qualsiasi altra manifestazione di linguaggio, porta in sé delle
tracce, dei meccanismi iscrittori che ci scrivono. Ed è sempre il libro a
scegliere il proprio “lettore” e non il contrario.
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Vachel Lindsay (1879-1931) |
LB: "Giovane" è una brutta categoria.
Sembra più un ritrovato del marketing letterario, oramai. Resta il fatto che
sei indubbiamente giovane. Da come ho percepito, questo tuo lavoro assomiglia
molto al risultato di un innamoramento e folgorazione che ha cercato di
concretizzare in un libro il tutto. Davvero è così? Altri innamoramenti e
folgorazioni?
R: È davvero così e
mi rende molto felice sapere che questo è quanto ne traspare. Atlantide è
scritto in forma di preghiera, di canto liturgico, nel senso di pegno
spirituale. La mia attività di lettore (iscritto – seguendo quanto detto prima)
è molto carnale. È un continuo corteggiamento che parte dal primo contatto con
la copertina di un libro e si addentra fra le pagine. Per dirla con G. Deleuze,
cerco di mettere in contatto le mie macchine desideranti coi meccanismi del
libro. Se gli ingranaggi combaciano scatta la scintilla. Mi sono sempre sentito
in dovere di tradurre quegli autori che mi hanno dato una mano nel groviglio
del mondo. Tradurre un autore è un modo di includerlo nelle proprie tracce, e
prolungarne le risonanze. Riuscirci è una soddisfazione enorme. Mi chiedi se ci
sono altri innamoramenti e folgorazioni in vista? Sì, molti.
Assieme a Gerardo
de Stefano, ideatore della collana Rigor Mortis, stiamo svolgendo un lavoro di
ricerca che va a mappare la letteratura europea e americana (al momento).
Vogliamo individuare tutti quei nomi mai tradotti e dimenticati. Viaggiamo
sulla stessa lunghezza d’onda ed è un piacere lavorare assieme. Purtroppo
l’editoria del nostro paese non dà alcun valore a progetti come questo e la
gente non è interessata alla poesia. Ma non ci importa molto. La RigorMortis
nasce proprio per mettere in evidenza i cortocircuiti del mercato del libro in
Italia. Il titolo è corrosivo e dà voce al fastidio che proviamo ogni qual
volta vediamo gli stessi autori riproposti sulle vetrine delle librerie. Sempre
più spesso mi accorgo di quanti contemporanei che pensano di aver scoperto
linguaggi nuovi non facciamo altro che riscoprire vecchi poeti sconosciuti che
hanno scritto le stesse cose decenni prima. Dovrebbero avere l’umiltà di
pubblicare meno e tradurre di più, e di guardarsi intorno prima di invocare la
sibilla del Linguaggio. Vachel Lindsay, volume primo della Rigor Mortis e
tradotto magistralmente da Paola Roberta Berizzi, pure giovane, è un bellissimo
esempio di quanto sto affermando. Un autore che ha anticipato la beat
generation di più di 50 anni.
LB: Come nasce il rapporto con Thauma edizioni?
R: Ho incontrato
Gerardo de Stefano e Serse Cardellini per la prima volta a Treviso, nel 2010,
presentavano un loro libro a un serata di poesia organizzata da Marco Scarpa.
Con Gerardo è nato subito un reciproco interesse. Siamo tipi piuttosto solitari
e non sopportiamo la letteratura da circoli e club, che crea sempre meccanismi
di potere critico molto pericolosi. Abbiamo continuato a sentirci, fino a
quando mi ha parlato di quest’idea che aveva in mente da tempo. Seduti al
bancone di un’osteria, Gerardo tira fuori dalla sua sacca un malloppo di libri
vecchi e qualche appunto. Parla di autori andati dispersi, di rabbia per un
mercato del libro che non funziona, del sogno di farsi tombaroli e rispolverare
i tesori che nessuno considera più. Ne nasce la collana RigorMortis. Serse
Cardellini dà alle stampe la sua traduzione di Edith Stein che aveva pronta da
molto tempo. Paola Roberta Berizzi traduce magistralmente Vachel Lindsay. Paolo
Galvagni si unisce al team con Nere sopracciglia di Taras Ševčenko. Insomma
succede tutto molto per caso e abbastanza in fretta e siamo contentissimi
d’essere riusciti a stampare 4 libri in meno di un anno e di averne molti altri
in progetto.
LB: Rimanendo al tuo lavoro di traduzione, quali
difficoltà hai incontrato nella scelta dei testi, nell'ottenimento di eventuali
autorizzazioni e soprattutto nel confronto testuale con l'opera di Crane?
R: La scelta dei
testi muove da due volumi principali. I Complete
poems della Doubleday Anchor Book e un epistolario - The Letters of Hart
Crane- curato da Brom Weber. Sapevo cosa mi sarebbe piaciuto includere nell’antologia e cosa invece
preferivo tralasciare. Individuare i testi importanti è stato piuttosto
semplice. Non ho dato troppo peso agli ultimi lavori di Hart, agli scritti dal
Messico, né ai versi giovanili, mai pubblicati durante la sua vita. Atlantide
comincia dalla presa di coscienza di Crane d’essere poeta, comincia dalla carne,
e termina con Eos, dea dell’Aurora, sorella del Sole e della Luna, eppure
lontana, è divinità che sorge ogni mattina dal confine ultimo degli oceani e
risplende. È inoltre Madre dei venti e per questo causa delle nostre
navigazioni. Quello che io credo sia la poesia: né apollinea né luna bianca,
come definita da Graves, ma piena resurrezione dell’alba e costante moto di
materialità e linguaggio.
Il confronto
testuale con l’opera di Crane non è stato affatto semplice. Fortuna vuole che
il mio stile personale si avvicini abbastanza alla sua ritmica, pure se
completamente differente. Per darne una breve analisi, credo sia utile
suddividere il verso di Hart in tre tipologie diverse. C’è un Hart Crane
simbolista, dove l’arcano della parola è indissolubilmente legato alla parola
stessa. È il Crane di Edifici bianchi, quello per me più difficile da
tradurre. Qui la ritmica passa in secondo piano ed è la densità di significati
che la fa da padrone. Ha richiesto un’attenzione maniacale al linguaggio. Ci
sono testi in Edifici bianchi dove la volontà alchemica
di Crane di manipolare la magia delle parole sfocia in risultati
particolarmente estremi e intraducibili: penso a Lachrymae Christi o a
Recitativo. C’è poi il Crane epico-simbolista ad ampio respiro. È il Crane del
Ponte. Gli arcani sono legati al simbolo dell’opera, i versi sono invece epici,
fluviali. Lo stesso Crane afferma come il distendere il verso scrivendo il
Ponte l’abbia aiutato molto. Cominciava a sentirsi costretto. C’è poi un terzo
Crane. È il Crane mitologico e prosaico di Eternità. Eternità è una narrazione
del diluvio, un uragano che colpisce l’isola dei pini a Cuba. Il tema è
biblico, la simbologia è completamente rovesciata. L’uomo sopravvissuto trova conforto
nel discorrere con arroganti soldati. L’apocalisse è raffigurata da due cavalli
che si affrettano verso il mattino. Le lacrime che ne sgorgano sono di
rassegnazione e di salvezza. “Tutto perduto, o ravvolto di grazia e mistero”.
Rendere la poesia
polimorfa di Crane ha richiesto l’uso di ogni mia risorsa. Mi sono sentito
messo alla prova tecnicamente sotto ogni aspetto. Non facile poi è stata la
traduzione delle lettere. Ci sono passaggi decisamente ambigui dove l’uso della
sintassi inglese è inconsueto e arduo da decifrare.
LB: Il libro che ci troviamo tra le mani,
Atlantide, è un un'opera che ibrida poesia, prosa, interventi e bellissime
lettere. Come ti sei mosso nel montaggio?
R: Atlantide in
corso d’opera ha assunto molte forme diverse. L’idea iniziale era quella di
pubblicare una selezione di saggi e lettere, escludendo le poesie, per paura
che potesse trattarsi di una mole di lavoro esagerata. Il pensiero di
scontrarmi con alcuni testi di Edifici bianchi e con l’unità primordiale del Ponte mi spaventava. Eppure era evidente che i saggi e le lettere, da soli, non
bastavano; di Crane emergevano gli organi interni, mancavano le forme degli
arti, mancavano i moti, le folgorazioni poetiche. Così iniziai a tradurne i
versi. Non avevo però alcuna voglia di presentare all’eventuale lettore
un’antologia di quelle che si sono sempre scritte, mantenendo stagne le opere poetiche
e relegando lettere e saggi in epistolari che non legge mai nessuno. È un
modello che non funziona e non serve. Crane inoltre è un autore che i più
definiscono difficile e complesso. Mi sono deciso a districare questa apparente
complessità su carta. Ho cercato di svolgere il corpo di Crane e creare una
specie di superficie, un atlante, che permettesse al lettore di addentrarsi nei
versi di Hart e di coglierne le scintille che li hanno fatti nascere.
Assemblare un libro così che l’uomo e le lettere coincidano, perché è sempre
il caso se si tratta di Poesia. Allo stesso tempo distinguere la vita dall'eternità e riaffermare la vita nell'eternità. Volevo che tra le pagine di Atlantide
trasparisse quel ragazzo combattuto, dilaniato dalla dea della poesia e ferito
dai traumi familiari, dalle situazioni e dalle necessità del quotidiano, dai
compromessi. Volevo che trasparisse il modo in cui quell'entità che ci domina
il cuore e che non riusciamo mai a definire, la parola, sconvolge la vita di un
Poeta, come Crane. I versi sono crudeli. La poesia non concede spazi. È
farmaco e veleno che non accetta rimedio, in una contorsione continua. Ne è nato
un ibrido, come definisci tu. Un’antologia che attentamente intervalla lettere
e saggi alle opere poetiche. Ho semplicemente seguito il mio istinto, cercando
di non deframmentare troppo conglomerati come il Ponte e le suites di Edifici bianchi. Spero questo ibrido riesca nel suo intento.
LB: Non vivi in Italia, per cui immagino ti sia
difficile promuovere e veicolare questa tua fatica. Ci riesci e ci provi
comunque? Grazie.
Mi è molto difficile. Vivo in Inghilterra da ormai tre anni e mi sposto spesso. Torno in Italia di rado. La promozione della collana è portata avanti principalmente da Gerardo. Per ora stiamo organizzando varie presentazioni e all'orizzonte c’è qualche invito interessante. Purtroppo dobbiamo sempre guardare ai fondi, limitati, ed è importante credo, trovare persone che siano disposte a darci un po’ di visibilità. Sono fermamente convinto della validità artistica del nostro lavoro, della validità di quanto è stato fatto finora e di quanto verrà dato alle stampe a breve. Ti ringrazio moltissimo per questa discussione.