di Luca Rizzatello
Fra qualche tempo – così,
in via amichevole – ti invierò anche qualche mia poesia che qui è piaciuta.
Alcune usciranno sul “Contemporaneo” – ma attento a non dir niente: ci ho messo
sotto “Andrew Mackenzie” (traduzione di Silvio D’Arzo). E tutti ci han creduto!
Un letterato che conosci anche tu le ha trovate tutte di suo gusto, e ha avuto
perfino il coraggio di dire che l’originale di una di queste lui l’aveva letta
in un’antologia di poeti canadesi. Siamo già a questo punto!1.
Nel rapporto epistolare
con l’editore Enrico Vallecchi, le questioni legate alla scelta del nome2 ricorrono con altissima
frequenza, essendo il mascheramento, come è già stato rilevato dai critici,
parte integrante del processo di scrittura di Ezio Comparoni. Il ritratto di
(per convenzione e comodità) Silvio D’Arzo, prenderà quindi le mosse proprio da
una poesia in cui l’eteronimo raddoppia, dal momento che all’anagrafe non
esistevano né Andrew Mackenzie, autore del presunto testo originale, tantomeno
il suo traduttore, Silvio D’Arzo3. SD’A non ha mai pubblicato un
libro di poesie4; alcune poesie sono uscite in rivista, firmate con nomi
differenti5.
Purgatorio di A. Nervud, Professore (1897…)6
Quassù, dove l’amaro
del mandorlo si fa
non già profumo, ma
sentimento,
lontano come l’ultimo
pomo rimasto all’albero
io sento, Ettore, te,
che al sicomoro
mesto appoggiavi la
fragile lancia
nello sgomento
plenilunio.
Ma te, quello
che dall’ultimo banco
sorrideva
nel suo lucido riso
di me vecchio bambino e della
verde
luna che piange sui
lecci del mare,
perché sento vicino come
l’anima
del mio pietoso
mandorlo? – Oh ragazzo,
ironico ragazzo,
che in fiduciosa
immemoria
vai sicuro di te per le
tue strade.
[...]
Ma qui, dove l’amaro
mandorlo di me respira
e la nostalgia si fa
trifoglio,
perché infrangermi
ancora
del mio Ettore morto sul
lido l’amabile sguardo?
perché avvilirmi questa
poca memoria di perdute
arene?
Ogni tecnica propriamente
detta ha una propria forma. Ciò vale per ogni atteggiamento del corpo. Ogni
società ha abitudini proprie. […]
Ebbi una specie di rivelazione, mentre ero degente in un
ospedale di New York. Mi chiedevo dove avessi già visto delle signorine che
camminavano come le mie infermiere. Avevo tutto il tempo di riflettere. Mi
ricordai, infine, che le avevo viste al cinema. Tornato in Francia, notai,
soprattutto a Parigi, la frequenza di questa andatura: le ragazze francesi
camminavano nello stesso modo. In effetti, grazie al cinema, il modo di
camminare americano cominciava ad arrivare anche da noi. […] Abbiamo
commesso, io stesso ho commesso per molti anni, l’errore fondamentale di
ritenere che esistano delle tecniche solo quando ci sono gli strumenti.
Bisogna, invece, ritornare a nozioni antiche, ai dati platonici sulla tecnica
(Platone parlava di una tecnica della musica e in particolare della danza) ed
estendere questa nozione. Io chiamo tecnica un atto tradizionale efficace (e
voi vedete che, sotto questo aspetto, esso non differisce dall’atto magico,
religioso, simbolico). Occorre che sia tradizionale ed efficace. Non esiste
tecnica né trasmissione, se non c’è tradizione.7
A più riprese, SD’A si confronta con il
suo editore Enrico Vallecchi esprimendo una posizione lucidamente orientata in
merito al dispositivo della traduzione. Quando scrive che un editore di Milano mi ha proposto di tradurre per lui qualche buon
testo inglese: io, nel parlargli, gli ho manifestato le mie simpatie per Conrad
(in questo caso, tradurrei “Youth”, che è così bello e in Italia pressoché
sconosciuto) e per Barrie. […] Ora,
dal momento che mi è venuto voglia di tradurre opere brevi e complete, (ma
lentamente, maturamente, quasi rivivendole) io ho pensato a te8, oppure che sono molto contento che a te piaccia, per la
tua Biblioteca, “Peter Pan”: io cercherò di tradurlo nella migliore maniera
possibile: e spero che mi riuscirà perché non faccio né farò mai il traduttore
di professione, e tradurrò soltanto in casi eccezionali, quando troverò un’opera
che per me rappresenti veramente qualche cosa. Mi piacerebbe (e rispondimi se
sei dell’avviso) fare precedere la traduzione da un sostanzioso saggio su
“Peter Pan” particolarmente (si capisce) e in generale sulla letteratura
infantile: un problema che mi ha sempre interessato moltissimo9, SD’A ribadisce la
distanza che separa la traduzione di
professione dalla traduzione come strumento anzitutto autoconoscitivo
(ovvero ancorato ad un immaginario estremamente significante, che consenta di
attraversare le opere non tanto come meri spazi del testo, ma come passaggi
dell’esperienza, quasi rivivendole); questo processo, che si
sviluppa a partire da un principio di piacere (seppur mediato dalla coscienza
critica di un lettore/scrittore), consente (direi meglio necessita) in un
secondo momento l’apertura a speculazioni teoriche che consentano l’inserimento
di uno specifico testo/tassello nel quadro generale della tradizione: un’altra ragione del mio ritardo e, credo,
del mio esaurimento nervoso è lo studio che ho fatto su alcuni grandi scrittori
inglesi e americani: ho letto molto e ho tratto appunti e considerazioni perché
il mio intendimento è, anche, quello di pubblicare un volume (e, più, col
tempo) di saggi su grandi autori non conosciuti come meriterebbero: non
rivelazioni, però: io alle rivelazioni credo poco: ma, per esempio, (ci sto già
lavorando) uno studio abbastanza lungo su “Tre viaggi”: quello di “Gordon Pym”,
quello del capitano Achab di “Moby Dick”, quello dell’”Hispaniola” di Stevenson
ectc. E cercherò che la forma sia adatta, non all’angolo del caffè e nemmeno
alla piazza, ma allo studio, alla sala da pranzo o cose simili. Si verifica
una situazione (paradossale, stando agli intenti espressi da SD’A) in cui
l’opera di divulgazione di autori altri
si risolve in una proiezione: non essere
conosciuto come meriterebbe è infatti uno dei temi ricorrenti nelle lettere
di SD’A, tanto nella dimensione
autoriale10, quanto in
quella esistenziale11. Quindi
il testo altro da introiettare e da
tradurre, che in prima battuta si allinea con l’invito al viaggio, o alla
dislocazione, diventa un organismo autosufficiente, soggetto a un rovesciamento
radicale che lo rende estraneo anche alle logiche di mercato per le quali era
stato concepito: bene, io ti voglio fare
una proposta: e ti prego, ripeto, di ponderarla con spirito amichevole ed
attenzione: anche perché se fosse realizzabile, si potrebbe tagliare la testa a
tutti gli ostacoli del mondo. […] potresti tu, anche senza che il libro fosse
pubblicato in Italia, proporne la traduzione agli editori inglesi e americani
di cui mi parlavi e coi quali sei a contatto?12+12bis. Poi, traduce The scholars13,
di W. B. Yeats, che in origine è così:
Bald heads forgetful of their sins,
Old, learned, respectable bald heads
Edit and annotate the lines
That young men, tossing on their beds,
Rhymed out in love’s despair
To flatter beauty’s ignorant ear.
They’ll cough in the ink to the world’s end;
Wear out the carpet with their shoes
Earning respect; have no strange friend;
If they have sinned nobody knows.
Lord, what would they say
Should their Catullus walk that way?
ma
sembra che questa poesia la abbia scritta lui; prendiamo questi forgetful, ignorant e nobody knows in
posizioni così forti: esperienza VS oblio. Nella poesia Così vinti dal dolore…14
si legge: Oh sapere, sapere. E
non potere scordare, in Canto d’amore
del supplente Fleirbig15 si legge: e che solo può darmi sollievo perché non sa niente di me, in Il lamento dell’Anna dei bambini (Imitazione
da una ballata inglese)16
si legge: Bambino, che mi hai tutto
donato e tutto tolto/ e fatto dimenticare qualche volta/ d’essere povera,
ingenua e senza sole. Fuori dal testo, il depistaggio messo in atto per
evitare di tracciare un’unica identità, o in altri termini la possibilità di poter
fare perdere le proprie tracce in qualsiasi momento per ripartire, viene
progettato e condiviso con pochi amici eletti, non senza contraddizioni: 1) ti prego – dal momento che ormai, penso,
il “caso d’Arzo”, a Reggio, fra gli amici, sarà già stato messo in archivio –
di fare sempre appello alla tua impassibilità: dal momento che io, per nulla al
mondo, dirò mai che sono S.d.A., né prove definitive mai verranno, tu non farai
mai quelle brutte figure che già temi. Secondariamente, penso – se io ho difeso
contro tutti così rabbiosamente quel segreto, cambiando nome, età, faccia e
ogni cosa – che autorizza mai gli amici pensare o – peggio – a sospettare che
tu sia stato messo al corrente della cosa? […] 2) Ho deciso di non scrivere più.
(Con serenità, sai, con piena serenità: il fatto che qualcheduno (che non sia
tu) sa o sospetta che sono io, m’impedisce di scrivere: è così17. Ma non è tutto, e
infatti iniziamo da un termine cardine: aware, o meglio mono no aware. Il termine è molto antico, ma la
consapevolezza del mono no aware
nasce solo in periodo Heian. All’inizio era un semplice aa oppure hare: «Aa, che splendida luna!», «Hare, che bel fiore! », che poi si fuse in aware. Si trattava di esclamazioni di piacevole
sorpresa del tipo: «La luna velata, aware!», con le quali si intendeva sottolineare qualcosa di bello, qualcosa
la cui vista destava un acuto coinvolgimento personale. Successivamente aware si scrisse con il carattere di tristezza,
dispiacere, pietà: una sensazione di melanconia, molto spesso sucitata proprio
dalla bellezza di ciò che si sta ammirando e dalla consapevolezza che è
destinata a sfiorire. Mono no aware è
la «sensibilità delle cose» e nasce dal rapporto tra vita e sogno, realtà e
visione, natura e arte, sentimento e passione. […] La difficoltà di rendere in modo adeguato in un’altra lingua cos’è il mono
no aware sta proprio in questo: non si tratta di un concetto estetico, ma di
una percezione che accomuna il soggetto a ciò che lo circonda18. Nell’operazione di SD’A la varianza delle identità è inversamente
proporzionale alla costanza stilistica, esposta ai limiti del monolinguismo;
consideriamo alcune ricorrentissime parole talismano:
Purgatorio
di A. Nervud, Professore
-
Quassù (A), dove l’amaro
-
nello
sgomento plenilunio (B)
-
della verde
| luna (B) che piange sui lecci del mare
Così vinti dal dolore…
-
che sull’asino (C) gramo | te ne andavi cantando
-
colla luna (B) impigliata contro i rami del noce
-
te ne
andavi cantando per crocicchi e le siepi
(D)
-
e che
almeno la nebbia (E) che mi scende sugli occhi
-
impedisse
che lei, lei, più grande d’un secchio
(F)
Canto d’amore del supplente
Fleirbig
-
sul dolce
morir dell’autunno (G)
-
saliva il
fianco del colle (A)
-
sparendo al
ciglio del consueto colle (A)
Rimpianto (frammento)
-
Ah, le nebbie (E) d’autunno (G)
-
luna (B) impigliata ai rami del mio nudo | noce
-
via, su asini (C) vecchi come case
-
per colli (A) e siepi a fare le
serenate!...
Il lamento dell’Anna dei
bambini (Imitazione da una ballata inglese)
-
e i tuoi
compagni che sbucano, poi, cauti, uno ad uno, dalle siepi (D)
-
col tuo secchiello (F) dei pesci (L) fra le mani
I bambini hanno il vestito
nuovo
-
alla
vecchia Collina (A) di Pictown
-
Il Buon
Maestro va oltre la Collina (A).
-
le lucertole (H) azzurre e verdi al sole
-
al caldo sole… l’acqua (I) è vostra
Preghiera
come un’altra
-
chi pescò
le anime | e i pesci (L) in calde acque (I)
-
la lucertola (H) muore
Così,
la multidentità si scioglie nei testi a un grado profondo, e non si distingue
più quale sia la lastra, e quale sia la luce; oppure, come ha scritto Ezio
Comparoni: ma c’è un fatto. Il carattere
più intimo, più essenziale di un fantasma, quello che di lui più ci sgomenta
non è certo la sua inconsistenza o il suo pallore (e meno che mai il suo
lenzuolo, è sottointeso): il lato che ce li fa orridi e patetici è la loro
condizione di esiliati, quella loro condanna ad aggirarsi fra luoghi e memorie
che non sono i loro, quella impossibilità di comunicare, quella loro mancanza
di radici: quella loro eterna, assoluta estraneità: a tutto e a tutti; e anche
a loro stessi […] Mi piaceva che tu
lo sapessi. Tante cose19.
Note
1
lettera a Enrico Vallecchi del 18 giugno 1945. Tutte le lettere citate fanno
riferimento al volume Silvio D’Arzo –
Lettere, a cura di Alberto Sebastiani
(Monte Università Parma Editore, 2004)
2
Mi risolvo a fare quanto non ho mai fatto
con nessuno: a dirvi cioè chi sono veramente: mi chiamo, anziché Silvio d’Arzo,
Ezio Comparoni. Lettera a Enrico Vallecchi dell’aprile/maggio 1943
3
questa nota ha la funzione di strappare un sorriso anche al lettore più
accigliato, ed ecco venirci in aiuto Alphonse Allais: Shakespeare non è mai
esistito, tutte le sue opere sono state scritte da uno sconosciuto che aveva il
suo stesso nome.
4
ne ha pubblicato uno Ezio Comparoni, a quindici anni, intitolato Luci e penombre. Le poesie trattate in
questa sede sono Purgatorio di A. Nervud,
Professore (1897…); Così vinti dal dolore…; Canto d’amore del supplente
Fleirbig; Rimpianto (frammento); Il lamento dell’Anna dei bambini (Imitazione
da una ballata inglese); I bambini hanno il vestito nuovo; Preghiera come
un’altra, e sono raccolte nel volume
Silvio D’Arzo, Poesie (Edizioni
Diabasis, 1995)
5
ecco tutti i nomi utilizzati: Silvio D’Arzo, Adelmo Ferrari, Raffaele
Comparoni, Alberto Colli, Aldo Colli, Andrea Colli, Aldo Collin, Andrew
Mackenzie, Nino Cavazzoni, Silvia, Oreste Nasi, Sandro Nadi, Sandro Nedi,
Tullio Mari.
6 in una lettera a Emilio Vallecchi del 28
dicembre 1943 era stata presentata come Ragazzo (Dall’epitaffio del Professor Dominioni)
7 Marcel
Mauss, Le tecniche del corpo, Nozione di
tecnica del corpo, in Teoria generale
della magia, Einaudi, pp. 385-392
8 lettera a
Enrico Vallecchi del 29 ottobre 1945
9 lettera a
Enrico Vallecchi del 14 novembre 1945
10 lettera a
Enrico Vallecchi del 7 gennaio 1946
11 Ezio
Comparoni era figlio di Rosalinda Comparoni e di padre ignoto
12 lettera a
Enrico Vallecchi del 6 aprile 1948
12bis
la cesura si estende anche alla scelta del nome: se vuoi ancora, mettiamo, invece del mio nome, un nome inglese o
americano: attirerebbe di più. (lettera a Enrico Vallecchi del 29 luglio
1946)
13
contenuto in The Wild Swans at Coole;
questa
la traduzione di SD’A: Queste teste dimentiche dei loro peccati,/ vecchie,
erudite, rispettabili calve teste,/ vanno commentando e annotando i versi/ che
giovani uomini, smaniando nei loro letti,/ composero nel delirio d’amore,/ per
accarezzare l’orecchio ignorante della bellezza.// Costoro tossiranno
nell’inchiostro fino alla fine del mondo,/ e consumeranno il tappeto colle loro
scarpe,/ guadagnandosi reputazione: non hanno alcun strano amico,/ se essi
hanno peccato nessuno lo sa./ Dio, che cosa mai potrebbero scrivere/ se il loro
Catullo avesse seguito questa strada.
14 pubblicato in
Palatina, n. 13, gennaio 1960
15 pubblicato in
La Fiera Letteraria, a. I, n. 29, 24
ottobre 1946, con il nome di Oreste Nasi
16 pubblicato in
Il Contemporaneo, a. I, n. 2, 31
ottobre 1946, con il nome di Tullio Mari
17 lettera a Canzio
Dasioli del 14 aprile 1943
18 Letteratura giapponese, volume I, (a
cura di Adriana Boscaro), p. 9
19 lettera a Ada
Gorini dell’8 agosto 1950