that portion of the material forces of the world
entitled the body of A.A.L.
Il
24 gennaio 2015 sul blog Raspberry PI AI è
stato pubblicato un post dal titolo Turing
Test: Passed, using computer-generated poetry; viene
spiegato che questa IA può creare una
poesia indistinguibile da quella dei poeti reali. Il vero Test di Turing di
questa IA consisteva nel venire accettata da una rivista letteraria. La
rivista in questione è The Archive,
pubblicata dalla Duke University
(Durham NC). Viene anche spiegato che è
stato utilizzato un generatore di poesia che usa una grammatica libera dal
contesto (Context-free grammar),
servendosi della notazione di Backus-Naur Form; inoltre, si possono leggere
dei testi1.
Ada Lovelace è nata nel 1815,
ed è morta nel 1852. Stando a Wikipedia,
nel
1842 Charles Babbage fu invitato a tenere un seminario sulla sua macchina
analitica al secondo Congresso degli scienziati italiani, che si teneva presso
l'Università di Torino.
Luigi Menabrea, giovane ingegnere
italiano e futuro primo ministro del Regno d'Italia,
si dedicò successivamente a una descrizione del progetto di Babbage, che
pubblicò col titolo Notions sur la machine analytique de Charles
Babbage nell'ottobre del 1842 alla Bibliothèque Universelle
di Ginevra.
Babbage chiese ad Ada Lovelace di tradurre in inglese il saggio di Menabrea e
di aggiungere eventuali note. Durante un periodo di nove mesi, tra il 1842 e il
1843, Ada si occupò di tradurre e commentare tale materiale, che di seguito fu
pubblicato su The Ladies Diary e Scientific
Memoirs di Taylor sotto le iniziali A.A.L.. Il suo lavoro fu talmente accurato che il testo di
Menabrea si ampliò, dalle venti pagine originali, a circa cinquanta in virtù
delle note aggiunte dalla curatrice2. Per gli amanti delle citazioni da usare nei post, ecco due mai-più-senza tratti dal repertorio di
AL: 1. Possiamo
affermare in maniera del tutto appropriata che la Macchina Analitica tesse
motivi algebrici, proprio come il telaio Jacquard tesse fiori e foglie3,
e 2. Non sono mai
veramente appagata da quello che comprendo; perché, per comprendere come mi è
consentito, la mia comprensione può essere solo una frazione infinitesimale di
quello che voglio capire circa le tante connessioni e relazioni che mi vengono
in mente, come la materia in questione sia stata la prima a essere considerata
o raggiunta, ecc. ecc. Maria Luisa Ardizzone ha scritto che considerarla come parte della storia intellettuale d’occidente, che la
poesia stessa contribuisce a edificare, rientra nella riflessione da cui si
avvia questo lavoro, che perciò ripensa l’opera di Cavalcanti come linguaggio
che si costruisce a specchio di un dibattito di idee europee, non in quanto
trasferisce contenuti già assestati in versi, ma perché fa della poesia lo
spazio linguistico nuovo ove discutere e partecipare al discorso intellettuale
del tempo. Tale dibattito noi non lo consideriamo solo scritto in prosa, ma
anche in versi, non solo in latino, ma anche in volgare. Il concetto moderno di
campo come luogo dinamico di interazioni di forze è quello che meglio può darci
un’idea di come questa poesia organizzi un territorio inedito. […] Nuovo era il trapianto nel volgare di questi
contenuti e della loro terminologia filosofico-scientifica, così che la poesia
finiva anche per collaborare alla formazione linguistica di una società che si
apriva a modelli nuovi di saperi4-4bis.
Di AL ci è rimasto
un sonetto, peraltro scolpito sulla sua lapide, intitolato The Rainbow:
Bow down in hope, in thanks, all ye who mourn;-
where'in that peerless arche of radiant hues
surpassing early tints,-the storm subdues!
Of nature's strife and tears 'tis heaven-born,
To soothe the sad, the sinning and the forlorn;-
A lovely loving token; to inspire;
The hope, the faith, that Power divine endures
With latent good, the woes by which we're torn.
'Tis like a sweet repentance of the skies,
To beckon all by sense of sin opprest,-
Revealing harmony from sins and sighs;
A pledge that deep implanted in the breast
A hidden light may burn that never dies
And bursts through storms in purest hues exprest
In questa poesia tutt’altro che memorabile, ci sono almeno due spie
linguistiche degne di nota; la prima è radiant
hues (tinte radiose). In una lettera a Michael Faraday, AL scrive
Caro
Signor Faraday,
il
suo paragonarsi a una tartaruga mi ha stuzzicato enormemente. Ha provocato il mio divertimento.
Sono
anche colpita dalla potente
verità della designazione che ha dato
alla natura della mia mente:
“elasticità
dell’intelletto”.
È
davvero l’esatta
verità, felicemente espressa a parole.
Mi
ha fatto pensare a un assurdo, ma non privo di grazia, quadro allegorico,
ovvero
di
una quieta misurata e meticolosa tartaruga, con una bella fata che gli
saltella intorno in un migliaio di tinte radiose e variabili; la tartaruga
grida, “Fata, fata, non sono come te, non posso assumere a volontà migliaia di
forme aeree ed espandermi sopra la superficie dell’universo. Fata, fata, abbi
pietà di me, e ricordati che non sono altro che una tartaruga”.
Cosa
risponde la fata gentile e premurosa? Un po’ come segue:
“Cara
tartaruga, sarò per te di un colore semplice e sobrio. Posso assumere qualunque
forma io voglia. Sarò un bellissimo fantasma, raggiante di colori e di
eloquenza, se me lo ordinerai.
Ma
adesso sarò un
piccolo uccellino marrone silenzioso al
tuo fianco, e gentilmente insegnami come conoscerti e aiutarti. Ma la mia bacchetta magica è tua se lo desideri, e la
consegnerò nelle tue mani per il tuo scopo.”
Un
mio amico mi chiama sempre “La fata”. Questo è ciò che mi suggerì un paragone
davvero lusinghiero, che forse devo avere fatto nascere io.
Mio
Dio, mio marito mi chiama sempre L’uccellino5. Nella sua
testa la sensazione di somiglianza è così forte che io credo veramente lui mi veda quasi nelle sembianze di quella adorabile specie
tra le creature di Dio.
Un
medico illustre mi disse che ero come una cavalla araba, per costituzione fisica e indole.
Oh
cielo! Non ho voce in capitolo per intrattenerla con questo egotismo. Ma davvero, la sua nota ha aperto la vena;
le specie allegoriche della mia
mente; e fatico a fermarmi.
Un
altro amico mi chiama “lo spiritello”.
Non so come mai, ma nessuno mi chiama o pensa a me come a una semplice
mortale!
Non
è una fata
matematica un composto molto curioso?
Comunque è così; e lì è il segreto.
Ho in me entrambe le polarità nord e sud;
e madre Natura ha prodotto una stravaganza, e per una volta ha unito
armoniosamente in un individuo facoltà che solitamente non coesistono.
L’Analisi più
profonda, con una sfolgorante
immaginazione che lavora sulla superficie di queste gravi e insondabili
profondità. L’analisi serve a richiamare i saltelli della mia immaginazione per
dargli ordine e confinarli nella soggezione
alla verità e alla logica6.
Nella
lettera, radiant & varying hues
(tinte radiose e variabili) sono emanazioni della rappresentazione allegorica
della fata; ma questa condizione – o
meglio, configurazione – non è che una delle facce del prisma. Se in prima istanza
emerge la configurazione imposta da terzi nelle figure dell’uccellino e della cavalla araba, lo scarto si ha al momento dell’autodefinizione, in specie che non appartengono alle creature di Dio, e che fanno di lei una freak (si noti: di madre Natura, non di Dio), in grado di armonizzare elementi
abitualmente inconciliabili7. E questa è la seconda spia
linguistica: Revealing
harmony from sins and sighs.
Nella
nota A si legge che la Macchina Analitica può
aggiungere, sottrarre, moltiplicare o dividere con facilità, ed esegue ciascuna
di queste quattro operazioni in modo diretto, senza l’ausilio di alcuna delle
altre tre;
inoltre: sarebbe
opportuno spiegare, che con la parola operazione,
intendiamo ogni processo che modifica la relazione reciproca tra due o più
cose, di qualsiasi tipo possa essere
questa relazione. Questa è la definizione più generale, e includerebbe tutti i
soggetti dell’universo. Il nodo risiederebbe nelle possibilità di
cambiamento prodotte dalla messa in relazione e dalle operazioni tra cose, attraverso un codice/una macchina sufficientemente
potente8. Proseguendo nel ragionamento, il meccanismo operativo può essere messo in azione
indipendentemente da quale sia l’oggetto su cui si operi. Ancora, si può agire
su altre cose oltre al numero. […] Supponendo che, per esempio, la relazione
fondamentale tra i suoni nella scienza dell’armonia e della composizione
musicale fosse suscettibile di tale espressione e adattamenti, la macchina
potrebbe comporre pezzi musicali elaborati e scientifici, di ogni grado di
complessità o entità9. E andando oltre, l’immaginazione è la Facoltà della Scoperta,
preminentemente. È ciò con cui penetriamo i mondi invisibili attorno a noi, i
mondi della Scienza. È con ciò che sentiamo e scopriamo cosa è, il reale
che non vediamo, che esiste ma non per i nostri sensi. Le cose che
abbiamo imparato camminando sulla soglia di mondi sconosciuti, mediante quelle
che vengono comunemente definite le scienze esatte, potrebbero con le
bianche ali fatate dell’Immaginazione sperare di levarsi in volo più lontano
nell’inesplorato in cui viviamo10. Ancora una volta, scienze esatte e ali fatate
coesistono. In una lettera del 1844, indirizzata all’amico Woronzow Grieg, AL
fa riferimento a un futuro lavoro (che però non vedrà mai la luce) intitolato Calculus of the Nervous System11, in cui avrebbe voluto
sviluppare un modello matematico che spiegasse come i segnali nervosi
provocassero pensieri ed emozioni nel cervello. Steven Pinker ha scritto che qui sta il
problema. I parser12 dei calcolatori sono troppo
meticolosi. Essi trovano ambiguità che sono certamente legittime, dal punto di
vista della grammatica della lingua, ma che nessuna persona sana troverebbe.
Uno dei primi parser
di calcolatore, messo a punto a Harvard
negli anni Sessanta, fornì un esempio famoso. L’enunciato time flies like
an arrow [il tempo vola come una freccia]
è sicuramente non ambiguo (ignorando la differenza tra i significati letterali
e metaforici, che non ha nulla a che fare con la sintassi). Ma, con sorpresa
dei programmatori, l’acuto calcolatore scoprì che aveva cinque alberi13 differenti:
Il tempo procede
veloce come una freccia. (il significato inteso)
Misurate la
velocità [to
time: prendere il tempo] delle mosche [flies] allo stesso modo in cui [like] misurate la velocità di una freccia.
Misurate la
velocità delle mosche allo stesso modo in cui una freccia misura la velocità
delle mosche.
Misurate la
velocità delle mosche che assomigliano a una freccia.
Le mosche di un
tipo particolare, le time-flies, amano [like] una
freccia.14
Note
3
Sketch of the Analytical Engine invented
by Charles Babbage by L. F. Menabrea, With notes upon the Memoir by the Translator Ada
Augusta, Countess of Lovelace, nota A. Questa traduzione e le
seguenti sono mie
4 Maria Luisa Ardizzone, Guido Cavalcanti. L’altro Medioevo, Edizioni Cadmo, 2006, pp. 9-10
5 Il
Dizionario Collins presenta, come
variante gergale, la definizione bambola
B
6
lettera di Ada Lovelace a Michael Faraday del 10 novembre 1844
7
In accordo con il marito e con l’illustre medico, l’etologo cognitivo interpreta la figura della danza descritta da
un’ape al ritorno da una spedizione fortunata di ricerca del cibo come qualcosa
che denota la distanza lineare e la distanza angolare della fonte di cibo
dall’alveare. Dunque per l’etologo cognitivo la danza di un’ape è una
rappresentazione: essa “sta per”, “si riferisce a”, “denota” qualcos’altro. Del
resto, siamo abituati ad attribuire la stessa funzione a numerosi altri
oggetti: a un’espressione linguistica, a un cartello stradale, a un modello in
scala; o ad altri eventi, come un gesto. La sintassi delle locuzioni “sta per”,
“si riferisce a”, “denota” induce a pensare a relazioni compiutamente
esprimibili mediante predicati a due posti: “x sta per y”, “x si riferisce a y”, “x denota y”. Ma questa struttura sintattica è
ingannevole: solo in virtù di un atto interpretativo, condotto da una qualche
entità, si asserisce che un evento (come una danza o un gesto) o un oggetto
(come un dipinto o un’espressione linguistica) si riferiscono a qualcos’altro.
Quando si afferma “x si riferisce a y” si sottende “per z”, dove il ruolo di z è
usualmente svolto da uno o più esseri umani. […] Nelle situazioni più comuni possiamo asserire “x si riferisce a y” senza specificare “per z”,
proprio perché in tali circostanze z è usata come una variabile che assume come
valore solo un determinato essere umano o un gruppo di esseri umani. Quali
valori può assumere z nel caso della
danza delle api?A
(Guglielmo Tamburrini, I matematici e le
macchine intelligenti, Bruno Mondadori, 2002, pp. 29-30)
8
In una nota del 1843, AL ha scritto che un linguaggio nuovo, immenso e potente è stato sviluppato per gli scopi futuri dell’analisi, con il quale
poter esercitare le sue verità così che possa diventare di più veloce e precisa
applicazione pratica per gli obiettivi dell’umanità di ciò che i mezzi finora
in nostro possesso hanno reso possibile. Perciò non solo il mentale e il
materiale, ma il teorico e il pratico nel mondo matematico, hanno dato
origine a una connessione più intima ed efficace C
9 Nota A
10
da una nota di AL del 1841
14
Steven Pinker, L’istinto del linguaggio,
Oscar Mondadori, 2013, p. 200
Note 2
A
una risposta possibile è questa: E
ancora; appena il sole d’oro ha sconfitto l’inverno, l’ha ricacciato/ sotto e
aperto alla chiara luce il cielo,/ eccole subito andare per balze per boschi/ e
mietere i fiori purpurei e dissetarsi sopra le acque/ che corrono, in volo:
allora, colme di non so quale dolcezza,/ si danno alla loro discendenza e ai
nidi; allora con arte modellano/ le cere fresche e cesellano masse tenaci di
miele (vv. 51-57); inoltre: Da questi
segni e guidati da questi esempi, taluni/ hanno detto le api possiedono un
elemento della divina mente/ e respiro celeste (vv. 219-221)*
B La musicista era
una damigella meccanica apprezzata, oltre per la capacità di suonare il
pianoforte, per la grazia e la leggiadria che i suoi costruttori, Pierre
Jaquet-Droz (1721-1790) e il figlio Henry-Louis (1752-1791) avevano saputo
darle. Viene corteggiata da Luigi XV, Luigi XVI e re Giorgio III d’Inghilterra.
Intorno alla metà del Settecento il fascino della damigella meccanica era
dovuto ad un congegno che aveva il compito di far muovere gli occhi e di far
girare con civetteria la testa e il busto per indurre chi la guardasse in una
sorta di incantamento erotico. Sempre lo stesso congegno faceva abbassare e
alzare ritmicamente il seno, secondo il ritmo di respirazione. Alla fine di
ciascuna delle cinque arie che sapeva suonare, la damigella compiva una pudica
reverenza con il movimento degli occhi per accogliere gli immancabili applausi.
Nel racconto Olimpia, nella sua prima apparizione al giovane
Nathanael, suona il pianoforte con la stessa grazia dell’automa dei
Jaquet-Droz. […] Clara, la fidanzata
di Nathanael, viene rappresentata come una figura angelica dagli occhi
luminosi. Nathanael, in uno dei suoi momenti difficili, si confida con lei,
tentando di raccontarle la sua inquietudine attraverso la lettura di alcuni
componimenti poetici. Di fronte alla impassibilità emotiva di Clara la
rimprovera gridandole: «Maledetto automa senza vita» (Michela Mancini, Vedere il progresso. Mostri, bambole e
alieni nel romanzo illustrato dell’ottocento, :duepunti edizioni, 2012, pp.
67-68)
C
Ci recammo quindi alla scuola di lingue,
dove tre professori si consultavano circa il modo di migliorare l’idioma del
paese. Venne proposto dapprima d’abbreviare il discorso col ridurre i polisillabi
in monosillabi e col sopprimere verbi e participi. In realtà, tutte le cose
immaginabili che altro non sono se non nomi? In secondo luogo si propose di
abolire qualsiasi parola per il vantaggio evidente che da tale abolizione
sarebbe derivata alla salute e alla brevità. Infatti, ogni parola che si
pronunzia è in certo modo un logorio dei nostri polmoni e contribuisce ad
accorciare la vita. Considerando che le parole sono soltanto nomi che designano
cose converrebbe agli uomini di portare addosso tutte quelle cose necessarie ad
esprimere i particolari negozi intorno a cui si propongono di parlare. […] C’è solo un inconveniente ed è che, se i
negozi da trattare sono molti e di diversa specie, si è obbligati a portare
addosso un sacco enorme di oggetti, a meno che si possa disporre d’uno o di due
robusti servi accompagnatori che facciano da facchini. […] I proponenti di questa invenzione
segnalavano un altro grande vantaggio: che cioè essa sarebbe valsa come lingua
universale di tutte le nazioni civili, le quali generalmente adoperano
suppellettili ed utensili della stessa specie, o che molto si somigliano. In
tal modo gli ambasciatori avrebbero potuto trattare coi principi e ministri
stranieri, pure ignorando del tutto le lingue di questi ultimi. (Jonathan
Swift, I viaggi di Gulliver,
Mondadori, 1960)
Note
3