Daniele Bellomi, divided by zero
Il lettore della silloge di Daniele Bellomi si trova di fronte a una possibile palingenesi che succede a una apocalisse voluta, cercata (“finito, detto al mondo: andato in pace, lontano | prima che ne sovrascriva la memoria”) da un soggetto che intende ricreare un reale – o forse un virtuale – migliore (“riapre | il termine a un sistema detto meglio”). Già, perché il demiurgo davanti al quale ci si trova davanti è un uomo e il suo tentativo di palingenesi è strettamente connesso al suo rapporto con la macchina – in questo caso un sistema operativo. Un umano che scivola verso il post-umano e, come tale, è un coacervo di elementi biologici e tecnologici: non sappiamo più che cosa appartenga al computer e cosa al suo creatore/manipolatore, tanto i termini sono stati confusi e tendono ad accavallarsi tra loro (“sa, e ripara i pannelli di luce: la corona, il sangue. dalla linea bianca del costato vuota il figlio, lo vomita a ritroso”). Forse siamo davanti a un teatro anatomico nel quale il cadavere sottratto alla sepoltura è stato sostituito da un sistema operativo. E il soggetto osserva le conseguenze del suo operare e tenta di plasmare l’alterità, di ricrearla e renderla più simile a sé, così da trovare un riparo (“dal retro dei monitor riesce a fare | una magia, a domare la terra, il codice, le stringhe: allaccia a caso | la sua idea di domazione, cioè non di dominare, ma di fare domus, o casa, al meglio”).
Ma questo tentativo di ricreazione è destinato allo scacco e a una reiterazione parossistica dal momento che la possibilità di una palingenesi scivola ostinatamente nella negazione. Ogni tentativo viene infatti, come ci ricorda il titolo della silloge, diviso per zero (“finisce per | allontanare tutti, sempre, dividere il possibile per zero”).
Il lettore della silloge di Daniele Bellomi si trova di fronte a una possibile palingenesi che succede a una apocalisse voluta, cercata (“finito, detto al mondo: andato in pace, lontano | prima che ne sovrascriva la memoria”) da un soggetto che intende ricreare un reale – o forse un virtuale – migliore (“riapre | il termine a un sistema detto meglio”). Già, perché il demiurgo davanti al quale ci si trova davanti è un uomo e il suo tentativo di palingenesi è strettamente connesso al suo rapporto con la macchina – in questo caso un sistema operativo. Un umano che scivola verso il post-umano e, come tale, è un coacervo di elementi biologici e tecnologici: non sappiamo più che cosa appartenga al computer e cosa al suo creatore/manipolatore, tanto i termini sono stati confusi e tendono ad accavallarsi tra loro (“sa, e ripara i pannelli di luce: la corona, il sangue. dalla linea bianca del costato vuota il figlio, lo vomita a ritroso”). Forse siamo davanti a un teatro anatomico nel quale il cadavere sottratto alla sepoltura è stato sostituito da un sistema operativo. E il soggetto osserva le conseguenze del suo operare e tenta di plasmare l’alterità, di ricrearla e renderla più simile a sé, così da trovare un riparo (“dal retro dei monitor riesce a fare | una magia, a domare la terra, il codice, le stringhe: allaccia a caso | la sua idea di domazione, cioè non di dominare, ma di fare domus, o casa, al meglio”).
Ma questo tentativo di ricreazione è destinato allo scacco e a una reiterazione parossistica dal momento che la possibilità di una palingenesi scivola ostinatamente nella negazione. Ogni tentativo viene infatti, come ci ricorda il titolo della silloge, diviso per zero (“finisce per | allontanare tutti, sempre, dividere il possibile per zero”).
Giusi Montali
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