La riproposta di questo libro che uscì postumo nel 1970 si può inquadrare nel legame che Debenedetti ebbe con la casa editrice Il Saggiatore, di cui è stato direttore editoriale. Nell'introduzione apprendiamo che il presente volume chiude il nuovo ciclo de "Le Silerchie" e anche questa scelta trova una giustificazione solida: se pensiamo a un libro come Preludi. Le note editoriali alla «Biblioteca delle Silerchie» scritte e non firmate da Debenedetti (Sellerio), possiamo ritornare su questa peculiarissima collana che il critico disegnò come un unicum e possiamo rispolverare un campione degli "inviti alla lettura" dei libri che componevano la collana. La "Biblioteca delle Silerchie" era contraddistinta da un'eterogeneità di campi e probabilmente da quella stessa mancanza o "felice sfiducia" nel metodo di cui parla anche il saggio "Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo".
Come è noto, lo scritto "Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo", collocato in apertura del volume, non è uno scritto di sola critica letteraria e fu pronunciato nel 1965 in una tavola rotonda della Mostra del cinema di Venezia. Il cono di luce è già proiettato e circoscritto nel suo incipit:
Chiamo personaggio-uomo quell’alter-ego, nemico o vicario, che in decine di migliaia di esemplari tutti diversi tra loro, ci viene incontro dai romanzi e adesso anche dai film. Si dice che la sua professione sia quella di risponderci, ma molto più spesso siamo noi i citati a rispondergli. Se gli chiediamo di farsi conoscere, come capita con i poliziotti in borghese, gira il risvolto della giubba, esibisce la placca dove sta scritta la più capitale delle sue funzioni, che è insieme il suo motto araldico: si tratta anche di te. Allora non c’è più scampo, bisogna lasciare che si intrometta. Ma non ha solo questa virtù di mediatore, che spesso rende «più praticabile la vita». L’evoluzione della sua specie porge anche il filo rosso per seguire la storia, non solo della narrativa, ma di tutta la letteratura e forse delle altre arti. Attualmente in quella evoluzione deve essere successo un salto qualitativo: ne è prova la decadenza della critica che vorrei definire osmotica, la quale penetrava il personaggio, e ne era penetrata, sia pure con il rischio di contrabbandare una vischiosità, un intrico di filamenti organici, una indiscreta e madida abbondanza di flussi; ma alla fine arrivava sia a comprendere quel personaggio che a spiegarlo.Per tutto il saggio, il richiamo alla fisica delle particelle è costante ed è come se il critico non volesse perdere il treno di quanto quell'universo di scoperte aveva dischiuso e messo a disposizione dei critici volenterosi di mutuarne intelligentemente un segnale. In un punto si legge che "la nostra tesi è che oggi la narrativa e la scienza sembrano trasmettere, con due codici diversi, lo stesso tipo di informazioni su ciò che maggiormente interessa la natura dell’uomo e del mondo", mentre in un altro ancora Debenedetti parla addirittura di "personaggio-particella". Ho parlato di segnale e non di metodo, proprio perché la grande novità di Debenedetti fu quella di essere un critico senza metodo. Mi riferisco all'assenza di un "metodo metodologico" o alla sfiducia in un metodo dominante. Non è esagerato affermare che ogni opera dell'ingegno, se tale, pone le condizioni di esistenza dei metodi con i quali avvicinarla. Lo scritto di Debenedetti sul personaggio-uomo è centrale perché ogni dibattito sulla letteratura è da sempre segnato dal personaggio, dai personaggi, dagli antipersonaggi o dagli antagonisti. Insomma, non si dà vero dibattito sul romanzo senza far riferimento a questo costrutto del personaggio che Debenedetti contribuì più di altri a scandagliare. Intuì l'affiorare, da più schermi, del nuovo personaggio-uomo di cui - sarà bene ricordarlo, spostando l'attenzione sul titolo - ne fa una "commemorazione provvisoria".
Il volume non è da far coincidere soltanto con il celebre intervento sul quale anche qui ci siamo dilungati, ma contiene i saggi "Un punto d’intesa nel romanzo moderno?", "Il personaggio‑uomo nell’arte moderna", un altro fondamentale contributo sul Tozzi "moderno" e il suo romanzo Con gli occhi chiusi (la categoria di "moderno" applicata a Tozzi viene da Luigi Baldacci ed è successiva, ma Debenedetti fu senza dubbio precursore), "Puccini e la «melodia stanca»", "Il tarlo in valuta oro" dove ammirazione e distanza da Emilio Cecchi emergono nitide, e il conclusivo "Vittorini a Cracovia". Assieme a Il romanzo del Novecento (Garzanti), lezioni universitarie trascritte in quel volume per cui Eugenio Montale scrisse l'introduzione, questo suo libro, per molti versi "nato orale", fa coppia nella bibliografia imprescindibile sul romanzo del secolo scorso, in attesa di capire cosa ne sarà di questo sempre sconosciuto genere negli anni a venire (oggi potremmo aggiornare la bibliografia anche con Teoria del romanzo di Guido Mazzoni uscito per Il Mulino). Il libro è soprattutto un punto di partenza per l'acquisizione di nuovi punti di osservazione sul significato del personaggio nelle arti. Anche in queste pagine si può osservare Debenedetti farsi "complice" (la definizione è di Pasolini) degli autori che di volta in volta analizza, e sia che si parta da Proust, Joyce, Pasternak, Tozzi, Pirandello o Moravia, ogni affondo porta a compimento una riflessione dalla quale ha senso una ripartenza del pensiero. (Un tema di approfondimento potrebbe essere il confronto tra il lascito critico di Debenedetti e la di poco precedente riflessione francese attorno al "nouveau roman" alla quale anche lui, assai spesso, si rifà con interesse e senza ammaliamenti.)
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