"To repeat or copy the words of another, usually with acknowledgment of the source." Questo il verbo "to quote". Ma in italiano "quote" è il plurale di quota, parola che mi interessa soprattutto nel senso della misura di un'altezza o di un lato. Citando e contestualizzando minimamente passi importanti, cerco un modo assai svelto di dar notizia di libri significativi, possibilmente brevi. Stando breve, pure io.
Leggevo a salti Lettere da Muzot 1921-1926 di Rainer Maria Rilke proposte dall'editore Ghibli (pp. 394, euro 20). Di solito assieme alle indicazioni su pagine e prezzo del libro mi trovo a dare qualche coordinata su curatele e traduttori, ma questa volta, cercando all'inizio e alla fine del libro, non ho trovato traccia. Nelle pagine iniziali si legge della disponibilità dell'editore ad assolvere le proprie obbligazioni nei confronti degli aventi titolo rispetto ai diritti dell'opera. Nessuno mette in dubbio la ricerca compiuta senza successo dall'editore, tuttavia mi chiedo se un editore possa non sapere o fare a meno di menzionare i nomi dei traduttori di un'opera interessante che meritoriamente ripropone e mette a disposizione dei lettori. Poiché i testi non si traducono da soli, ho fatto una ricerca e capito che esiste una edizione delle Lettere da Muzot di Rilke pubblicata dall'editore Cederna nel 1947, a cura di Mirto Doriguzzi e Leone Traverso. Che sia proprio questa la versione che l'editore Ghibli ci ripropone oggi? Non ha l'aria di essere una nuova traduzione, ma naturalmente posso sbagliarmi. Ripeto, ho cercato ma non ho trovato traccia. Tra l'altro non è nemmeno menzionato l'autore del quadro da cui è tratto il particolare di copertina, dipinto che se non sbaglio appartiene a Paula Modersohn-Becker e data 1906. Siamo quindi in un anno di molto antecedente al rilevante periodo di Muzot, in cui il poeta addensa e completa la stesura delle Elegie duinesi e dei Sonetti a Orfeo. Nominati i titoli di queste due opere rilkiane, non servirà aggiungere molto altro sull'importanza di quel soggiorno. Ecco una lettera che parla di amenti, salici e nocciòli. Ricorda da vicino certi discorsi botanici dei poeti italiani dello scorso secolo...
17. Alla signora Amann-Volkart
Château de Muzot sur Sierre (Valais)
Mia pregiata e gentilissima signora,
che cara idea la vostra di mandarmi gli elementi «amentologia» e spiegarmeli in modo così chiaro ed evidente con la lettera che li completa! No, dopo questo non sono più necessarie altre o più precise informazioni: sono convinto. Strano: non esistono dunque amenti «penduli» di salice; e se ci fosse dunque qualche rara eccezione tropicale, non mi servirebbe a nulla. Il passo di poesia, del quale volevo riscontrare l’obiettiva esattezza, si regge o cade secondo che il lettore colga e capisca, al primo sentire, proprio questo pendere degli amenti, altrimenti l’immagine usatavi perde ogni senso. Bisogna dunque richiamare l’apparizione assolutamente caratteristica di quest’inflorescenza; e mi è subito riuscito chiaro, davanti alle figure molto istruttive del vostro libretto, che quell’arbusto che anni or sono mi produsse l’impressione di cui mi valsi nel mio lavoro, dev’essere stato un nocciòlo: i suoi rami, prima dello spuntar delle foglie, sono più fitti di amenti, che pendono lunghi, verticalmente. Dunque so quello che avevo bisogno di sapere; e nel testo sostituisco «nocciòlo» a «salice».
Ma a voi, cara, gentilissima signora, devo questa certezza, e la soccorrevole sorpresa che me l’ha procurata in modo così inatteso. Dal volumetto voglio trarre ancora questa e quella utile nozione, e poi – tra alcuni giorni – ve lo rendo.
Sempre, con la più cordiale e devota affezione, vostro
RILKE
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