Il 18 ottobre 2011 morì Andrea Zanzotto. Ha più senso ricordare le date di morte che quelle di nascita e questo sosteneva Zanzotto stesso, aggiungendo che al momento della nascita, artisticamente parlando, nessuno ha combinato ancora nulla.
Riporto di seguito il primo paragrafo del contributo che ho scritto per gli Atti del convegno internazionale Andrea Zanzotto, la natura, l'idioma (Pieve di Soligo - Solighetto - Cison di Valmarino / 10, 11, 12 ottobre 2014). Il testo affronta il poemetto del 1969 Gli sguardi i fatti e senhal. La pubblicazione degli atti del convegno, a cura del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna, è attesa a breve presso l'editore Canova.
Riporto di seguito il primo paragrafo del contributo che ho scritto per gli Atti del convegno internazionale Andrea Zanzotto, la natura, l'idioma (Pieve di Soligo - Solighetto - Cison di Valmarino / 10, 11, 12 ottobre 2014). Il testo affronta il poemetto del 1969 Gli sguardi i fatti e senhal. La pubblicazione degli atti del convegno, a cura del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna, è attesa a breve presso l'editore Canova.
Giulio Turcato - Superficie lunare (1968) olio e tecnica mista su gommapiuma – diametro 90cm |
Here’s a truck stop instead of Saint Peter’s.
R.E.M., Man On
The Moon
Preambolo del divo Apollo 11
Andrea Zanzotto concepì e scrisse il poemetto Gli sguardi i fatti e senhal in quattro stagioni, tra l’autunno del 1968 e l’estate del 1969. L’apposizione di queste date alla fine del testo non è un fatto secondario nelle vicende editoriali di Zanzotto e nella storia di questo componimento frammentario che, come ebbe a dire il poeta, «non si presterebbe alla recitazione e che in qualche modo si nega perfino alla “lettura”»[1]. Il poemetto è stato a lungo assimilato a un peculiare instant book a bassissima diffusione, plaquette semiclandestina in un primo tempo[2], stampata in proprio in mezzo migliaio di copie presso la Tipografia Bernardi di Pieve di Soligo e inviata a una ristretta cerchia di persone, quand’era ancora viva l’eco della prima passeggiata americana sulla luna trasmessa in mondovisione. Quest’opera fu quindi a lungo meditata e, benché solitamente esterna alle orbite di studio più calpestate, costituisce un crinale privilegiato dal quale guardare il prima e il dopo, una forte tmesi con tutta la poesia precedente e una curvatura non trascurabile per tutta la poesia che verrà, inclusa l’ormai nota “trilogia” inanellata con Il Galateo in Bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986). Nella prefazione al Meridiano, Fernando Bandini scrisse che in questo poemetto «Zanzotto puntella le rovine del suo vecchio io lirico. Ma il “nuovo stile” gli permette anche di sgusciare da quell’io, di abbatterne la fissità contemplativa. A chi gli rimproverava, negli anni del suo esordio, il solipsismo e l’estraneità ai temi della “storia”, Zanzotto dimostra di essere oggi un grande poeta civile»[3].
Per avvicinarsi a un testo così “ostile” dovremmo auscultare i seguenti elementi: l’anno di pubblicazione e la collocazione dell’opera all’interno della bibliografia di Andrea Zanzotto, l’aspetto di urgenza non celato dall’autore, unito al senso di preziosità e parsimonia racchiuso nel gesto di una pubblicazione a tiratura limitata, la dedica in versi con cui Zanzotto era solito inviare la plaquette agli amici[4], la circolazione inizialmente ristretta in contrasto alla portata globale dell’allunaggio, il nuovo paesaggio “escrementizio” qui riaffiorante (un paesaggio per la prima volta lontano, psichico, cosmico, pop, cinematografico e televisivo), il quale si insinua nei versi dopo l’avvenuto saccheggio poetico di un altro paesaggio (prossimo, naturale, fisico) ampiamente messo in risalto dalla critica nelle opere antecedenti. Infine non è trascurabile la vicinanza temporale all’ecumenismo di una di quelle grandi cerimonie celebrate dai media che avremo conosciuto meglio, così come può essere il broadcasting di un’Olimpiade o del funerale di Lady Diana[5]. Come già sollecitato in apertura, vanno attentamente considerate le date che Zanzotto pone in calce al poema, «autunno 1968 - estate 1969». Questa traccia lasciata dal poeta in un posto canonico come la fine di un poemetto significa che il verificarsi dell’allunaggio in realtà ha probabilmente solo accelerato un processo di scrittura che era già in divenire, partito presumibilmente dopo la pubblicazione de La Beltà. Tale constatazione potrebbe mettere in dubbio la tendenza a incasellare Gli sguardi i fatti e senhal come poemetto del post-allunaggio.
In questo prendere le mosse dai dati più aderenti e asettici può essere utile soffermarsi sul titolo. Ogni titolo, come Zanzotto in sede critica ha spesso sostenuto, può diventare un filtro per setacciare e illuminare un’intera opera e esserne a sua volta illuminato. Questo titolo, che tra l’altro ha la peculiarità di essere il titolo più lungo scelto da Zanzotto per un’opera di poesia[6], è dapprima stilnovista e profondamente soggettivo nella parola «sguardi», si getta nella mischia del contemporaneo con l’ambiguità e l’apparente oggettività della parola «fatti» (ma che cos’è un fatto? Chi decide che cos’è un fatto? Esistono davvero i fatti? E che cosa avviene e che cosa significa se un “fatto” storico e documentato si confonde con la sua rappresentazione e la sua comunicazione diventa l’evento stesso?) e ripiega infine nuovamente nel poetico, anzi, nel meta-poetico più stretto e antico, con la parola «senhal»[7] ovvero l’espediente, il nome fittizio o segnale con il quale nella poesia trobadorica si designava la dama di cui parlava il trovatore, spesso dedicataria del componimento. Il circuito del titolo di uno dei testi più difficili, pessimisti e dolorosi di Zanzotto posiziona bene in realtà un disperato tentativo di rimagliatura del sublime e del poetico, nonostante un’infezione psichica dell’umanità ormai conclamata e richiamata dal poeta con note nitide e perentorie su cui torneremo. Nel titolo riaffiora una fiducia ancora salda nell’illusione della poesia, nella ricerca di senso in un tessuto cognitivo dove questo sembra perpetuamente mancare, la fiducia che il grido giungente dalla specola di un poeta possa ancora essere accolto.
Nelle pagine seguenti cercheremo di sostenere quindi la centralità di questo testo, anche in collegamento alla perenne trasversalità del tema del paesaggio in Zanzotto, e noteremo la presenza di una concezione di letteratura ancorata al proprio portato di testimonianza. Porremo dei dubbi sulla tradizione interpretativa che troppo collega questo testo all’evento dell’allunaggio, collocando questi dubbi nel rischio sempre presente di banalizzare e semplificare Zanzotto. Inoltre, isolando alcune opere di artisti figurativi che operavano in quegli anni, collocheremo una “fantasia di avvicinamento” a questo singolare coro di voci dialoganti con una voce centrale che parla tra virgolette.
NOTE
Per avvicinarsi a un testo così “ostile” dovremmo auscultare i seguenti elementi: l’anno di pubblicazione e la collocazione dell’opera all’interno della bibliografia di Andrea Zanzotto, l’aspetto di urgenza non celato dall’autore, unito al senso di preziosità e parsimonia racchiuso nel gesto di una pubblicazione a tiratura limitata, la dedica in versi con cui Zanzotto era solito inviare la plaquette agli amici[4], la circolazione inizialmente ristretta in contrasto alla portata globale dell’allunaggio, il nuovo paesaggio “escrementizio” qui riaffiorante (un paesaggio per la prima volta lontano, psichico, cosmico, pop, cinematografico e televisivo), il quale si insinua nei versi dopo l’avvenuto saccheggio poetico di un altro paesaggio (prossimo, naturale, fisico) ampiamente messo in risalto dalla critica nelle opere antecedenti. Infine non è trascurabile la vicinanza temporale all’ecumenismo di una di quelle grandi cerimonie celebrate dai media che avremo conosciuto meglio, così come può essere il broadcasting di un’Olimpiade o del funerale di Lady Diana[5]. Come già sollecitato in apertura, vanno attentamente considerate le date che Zanzotto pone in calce al poema, «autunno 1968 - estate 1969». Questa traccia lasciata dal poeta in un posto canonico come la fine di un poemetto significa che il verificarsi dell’allunaggio in realtà ha probabilmente solo accelerato un processo di scrittura che era già in divenire, partito presumibilmente dopo la pubblicazione de La Beltà. Tale constatazione potrebbe mettere in dubbio la tendenza a incasellare Gli sguardi i fatti e senhal come poemetto del post-allunaggio.
In questo prendere le mosse dai dati più aderenti e asettici può essere utile soffermarsi sul titolo. Ogni titolo, come Zanzotto in sede critica ha spesso sostenuto, può diventare un filtro per setacciare e illuminare un’intera opera e esserne a sua volta illuminato. Questo titolo, che tra l’altro ha la peculiarità di essere il titolo più lungo scelto da Zanzotto per un’opera di poesia[6], è dapprima stilnovista e profondamente soggettivo nella parola «sguardi», si getta nella mischia del contemporaneo con l’ambiguità e l’apparente oggettività della parola «fatti» (ma che cos’è un fatto? Chi decide che cos’è un fatto? Esistono davvero i fatti? E che cosa avviene e che cosa significa se un “fatto” storico e documentato si confonde con la sua rappresentazione e la sua comunicazione diventa l’evento stesso?) e ripiega infine nuovamente nel poetico, anzi, nel meta-poetico più stretto e antico, con la parola «senhal»[7] ovvero l’espediente, il nome fittizio o segnale con il quale nella poesia trobadorica si designava la dama di cui parlava il trovatore, spesso dedicataria del componimento. Il circuito del titolo di uno dei testi più difficili, pessimisti e dolorosi di Zanzotto posiziona bene in realtà un disperato tentativo di rimagliatura del sublime e del poetico, nonostante un’infezione psichica dell’umanità ormai conclamata e richiamata dal poeta con note nitide e perentorie su cui torneremo. Nel titolo riaffiora una fiducia ancora salda nell’illusione della poesia, nella ricerca di senso in un tessuto cognitivo dove questo sembra perpetuamente mancare, la fiducia che il grido giungente dalla specola di un poeta possa ancora essere accolto.
Nelle pagine seguenti cercheremo di sostenere quindi la centralità di questo testo, anche in collegamento alla perenne trasversalità del tema del paesaggio in Zanzotto, e noteremo la presenza di una concezione di letteratura ancorata al proprio portato di testimonianza. Porremo dei dubbi sulla tradizione interpretativa che troppo collega questo testo all’evento dell’allunaggio, collocando questi dubbi nel rischio sempre presente di banalizzare e semplificare Zanzotto. Inoltre, isolando alcune opere di artisti figurativi che operavano in quegli anni, collocheremo una “fantasia di avvicinamento” a questo singolare coro di voci dialoganti con una voce centrale che parla tra virgolette.
René Magritte, La page blanche (1967) |
NOTE
1. Si veda la nota intitolata Alcune osservazioni dell’autore pubblicata in A. Zanzotto, Gli sguardi i fatti e senhal, Milano, Mondadori, 1990 (=SFS), p. 44.
2. La prima edizione in volume dell’opera è quella mondadoriana del 1990, op. cit..
3. PPS, p. LXXXII.
4. Nella già citata nota Alcune osservazioni dell’autore il poeta scrive «[…] quando ho inviato a qualche amico il poemetto, al posto del © del copyright, ho aggiunto a mano “Nessun diritto è riservato:/ magari da me si copiasse/ tanto quanto dagli altri ho copiato” (con varianti…)» (SFS, p. 44).
5. Si veda D. Dayan e E. Katz, Media Events: The Live Broadcasting of History, Cambridge, Harvard University Press, 1994 (trad. it. Le grandi cerimonie dei media, Bologna, Baskerville, 1995).
6. Ad una rapida analisi dei titoli delle opere poetiche di Zanzotto emerge una predilezione per titoli brevi, spesso di una sola parola, come sono tutti i titoli dei libri di poesia pubblicati dopo Il Galateo in Bosco.
7. La prima delle note scritte dall’autore è dedicata proprio alla parola “senhal” e recita «nome pubblico che nasconde quello vero (per i trovatori), o semplicemente “segnale”, o, volendo, “simbolo del simbolo del simbolo” e avanti» (SFS, p. 17).
DOWNLOAD
- Qui un documentatissimo e assai recente commento di Mattia Carbone al poemetto, scaricabile come PDF delle Edizioni Ca' Foscari. Lì potrete trovare anche le litografie di Tono Zancanaro che accompagnarono la plaquette zanzottiana e il testo del poemetto.
- Infine, su questo poemetto di Andrea Zanzotto, uno scritto di riferimento resta quello di Giorgia Bongiorno intitolato Désastres, profanations et résistances dans la poésie d’Andrea Zanzotto Gli Sguardi i Fatti e Senhal (1969) et Meteo (1996) (in Interférences littéraires, nouvelle série, n. 4, « Indicible et littérarité », s. dir. Lauriane Sable, mai 2010, pp. 211-230), reperibile qui.
- Infine, su questo poemetto di Andrea Zanzotto, uno scritto di riferimento resta quello di Giorgia Bongiorno intitolato Désastres, profanations et résistances dans la poésie d’Andrea Zanzotto Gli Sguardi i Fatti e Senhal (1969) et Meteo (1996) (in Interférences littéraires, nouvelle série, n. 4, « Indicible et littérarité », s. dir. Lauriane Sable, mai 2010, pp. 211-230), reperibile qui.
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