martedì 28 novembre 2017

Una poesia inedita di Laura Di Corcia




"al cor gentil ratto s'apprende" è il titolo dello spazio che Librobreve dedica alle poesie inedite. Qui si ospitano testi che probabilmente andranno a costruire nuovi libri di poesia. Si propone come rubrica di solo testo, priva di foto glamour degli autori. L'unica immagine rimarrà quella del ratto qui sopra, identificativa di ogni post, un portafortuna che dedico agli ospiti. La pubblicazione avviene su invito e pertanto non ha senso inviare i propri testi all'autore del blog se non vi è stato prima un dialogo e accordo tra Alberto e chi ha scritto le poesie. Non ho previsto commenti o preamboli ai testi. I lettori invece possono commentare. 

Una poesia inedita di Laura Di Corcia (Mendrisio, 1982). Il testo di seguito riportato è l'inizio di un poemetto che comporrà la seconda parte del  libro Traduzioni e microsismi.



Preludio


Al di là della cortina, della rete che separa
l’alfa dall’omega, impedendo agli opposti di
fondersi, al di là del muro,
al di là di questo vuoto
che ci mangia le mani
che ci risucchia nei canali del suo vorticoso
rimestare i fondali, sondare
di che materia gli abissi, di quale noi
al di là del mare che affoga le paure
e le mescola nelle onde che sfidano
la geopolitica
al di là di questo nostro vagare
errante, parentesi
aperta e mai chiusa
al di là
c’è la terra, la promessa infantile
l’abbraccio materno,
la lingua originaria che parla solo a
chi ancora non dice io
ben prima dello scandalo dello specchio
della ritorsione che il nuovo fa sul vecchio
prima della separazione
del vagito, della delusione
del grido di Lacan,
che spezza a metà la notte
sempre la stessa
al di là c’è il melo, la polpa dolce dell’estate
c’è il fiore, al di là,
ci sono le api
c’è il virgulto
che buca la superficie,
c’è lo zolfo, il vento che libera
i pruni e sgonfia le zolle,
il pianto riconvertito in cordone ombelicale
c’è la navigazione dolce, al di là, gli Argonauti
che tornano vittoriosi dall’Oriente,
c’è il magico Occidente,
i suoi figli maturi, il libro
posato sul cassetto,
i balconi, le chiese
i fiori che riposano sul muretto,
la rondine che non torna più
e si incunea sotto un cielo grosso di nuvole,
il riassunto di tutti i frutteti della terra,
c’è la mosca, la benda che medica
la cicatrice che si posa sullo sfondo,
al di là c’è il mondo
ci siamo noi
mentre qui.


Qui c’è la verga malata
il potassio
dei corpi l’ammasso
(cosa c’è al di là?)
ci sono rovi che irti
pungono come preghiere
parole nere
c’è la vecchia che porge con anelito tremante
la bocca, ricordando le caverne
un mucchio di ossa
(cosa c’è al di là?)
ci sono calcificazioni, c’è un pineto
secco che rimbalza le domande
e le riporta alla terra delle madri
al di qua c’è vernice rovesciata
lampadine a terra
al di qua ci siamo noi fermi e muti
in un eterno nulla
pucciati in un mare primitivo
che non sa ancora dire
chi è morto e chi vivo.

Al di qua c’è un pensiero
che smette di sanguinare, coagula
e si esprime solo a singhiozzi
perché troppo sa dire, troppo sa nominare
e senza madri si dirige verso il mare.


Giovane coppia: lui

È tardi, hai freddo.
Mi guardi e mi chiedi perdono.
Perdonami, non sono forte
(dici)
perdonami ma voglio solo cadere.
Mi chiedi perdono
per non saper gettare la traiettoria
della speranza, per aver abortito
il figlio, per la mescolanza
fra fede e rifiuto
per non credere al vettore
che dall’immateriale
crea la materia
mi chiedi scusa, in ginocchio
(anche se non puoi, non puoi
perché siamo costretti
a stare seduti)
per non saper dire le bugie
e io mi sono spellato le mani
una volta, per raccoglierti
il frutto sull’albero, mi sono spellato
le mani per dirti che ti amavo,
per dimostrarti questo bozzolo di
fede e devozione che provo per te
per i tuoi piedi
mi sono spellato le mani, sì
(al di qua c’è il cartello abbattuto, c’è la notte
che si fonde e diventa più nera)
per darti una prova, che tu potessi
ancora credere al miracolo,
per non parlarti di nient’altro
che non fosse amore, amore profano
mi sono spellato e mi spello le mani
per sorreggerti, amore mio
e ti prego: guardiamo lontano.

Il Sole risuona nell’antica maniera
io vorrei solo credere ancora alla preghiera
di averti qui, amore mio
qui dove non c’è sole, e nemmeno luna
ma solo frammenti, formiche a pezzi
ci sono travi che inchiodano la vita
e anch’io sono una trave,
non mi muovo, attendo
la mano, la risposta eterna
ora che lontana è la mia terra
e dormono sotto le assi gli scarafaggi.
Risuona il sole nel modo antico
e vorrei avere vicino il mio fico,
dal quale il padre raccoglieva i frutti
e rivisitavamo insieme i lutti
passando in rassegna le stagioni
appiccicando ai muri i suoni
costruendo nuovi spazi di pietà.
Non ho freddo, ho solo sete
una lenta erosione che mi prosciuga
i canali vitali, dovrei pisciare ma non lo faccio
arriverò da te strisciando sulle ginocchia
se mi recideranno i garretti
correrò sulle mani
mi trascinerò come un cane
alla sua ultima corsa,
immaginerò un nuovo bosco
e nuovi dei per attenderti nel profondo
di un ventre cavo, suoneremo insieme
e ancora una volta
riporteremo il mondo all’innocenza.


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