sabato 2 dicembre 2017

"Con Pina Bausch" di Jo Ann Endicott (e un testo di Leonetta Bentivoglio): coreutica, maieutica e il nucleo è nudo

Con Pina Bausch di Jo Ann Endicott (Jaca Book, pp. 144, euro 18, traduzione dal francese di Fides Modesto, con un testo di Leonetta Bentivoglio) è un libro che non ha bisogno di tante presentazioni sul fronte autoriale e dell'oggetto: sia l'autrice di questo memoriale sia Pina Bausch sono ben note a qualsiasi persona che si sia interessata di danza. Pina Bausch è un passaggio obbligato per quanto problematico e controverso, ancor di più a partire dalla sua morte avvenuta otto anni fa e dalla successiva e problematica canonizzazione, anche precocemente cinematografica con Wim Wenders. Lo dimostra anche questo libro scritto a caldo, in un corpo a corpo con un'eredità che scotta, con un elastico che teneva uniti e che si è improvvisamente spezzato. Endicott è stata una danzatrice reclutata da Pina Bausch all'età di 22 anni. All'epoca era ancora "rotondetta" e con lei ha trascorso decenni di opere e fatiche passate agli annali della storia del teatro e della danza (torneremo a breve sul discorso del teatrodanza). Questa sorta di diario senza date, ma con un suo filo cronologico a cerchio (parte e arriva alla morte), è una testimonianza che esplode dopo la morte di Pina Bausch nel 2009. Endicott è chiara: si è trattato di amore, con momenti di spossatezza e forme di dipendenza quasi totale. Questo consente alle pagine di rimanere al di qua di qualsiasi traiettoria che porti sui terreni friabili dell'agiografia e le pagine finali ad esempio affrontano dolorosamente a viso aperto i soldi, l'argomento tabù di Wuppertal. Del resto l'agiografia sarebbe stata quanto di più lontano dalla frequentazione strettissima con la maieuetica della coreografa tedesca, interessata a inseguire quel che al mondo manca. Il punto, o quantomeno un punto da rilevare, sta più nella preposizione semplice con del titolo, perché quanto vi troverà il lettore è appunto il resoconto di una frequentazione e di un sodalizio dell'intelletto e della prassi. La sola preposizione che può andare bene per un libro simile è allora con, e non ci sono né a per su. Semmai in qualche passaggio il con sembra possa diventare un contro, ma in realtà l'esaurimento provato da Endicott alla morte di Pina Bausch dice più di un rapporto totalizzante e dell'inevitabile contraccolpo.


Jo Ann Endicott
Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. In questa stringa di quattro parole c'è molto. C'è l'innovazione linguistica innanzitutto del Tanztheater, la fine del "balletto" per il nuovo teatro che unisce danza e teatro, nel quale sbocciano le "non-scene" enigmatiche; c'è la località renana dove questa realtà ha messo radici per propagarsi nel mondo come un marchio e infine la firma di colei che con un lavoro indefesso, tenacia creativa e la ben nota maieutica fondata su un susseguirsi di domande (il metodo Bausch) ha portato un rinnovamento profondo del linguaggio coreutico. Ma è un linguaggio propriamente detto quello della coreografia? O è qualcos'altro? Che cos'è un linguaggio? Di certo si deve ricordare - e lo ricorda Endicott - quel ben noto metodo verbale e interrogativo di Pina Bausch, il pungolo e i rovelli con i quali stimolava i "danzattori", in una serie impressionante di opere che in questo agile libro è opportunamente ricordata in appendice. Nelle opere si riscontra un riverbero violento della e sulla società, quest'ectoplasma che così chiamiamo. E le opere sono tessere che vanno a comporre un'unica opera che interroga le relazioni, il nucleo animale dell'uomo, la violenza, lo spazio, il sogno, la felicità e, come detto, inseguono ciò che al mondo manca. Lo sterminato archivio del quale anche Endicott a un certo punto scrive e sul quale si troverà a lavorare, un insieme di video e materiale iconografico che si può iniziare a consultare anche in rete, ci dice di un lavoro che ha fuso l'artista e quello che un tempo si poteva chiamare "impresario". Credo sia anche a livello produttivo, insomma, che l'innovazione introdotta da Bausch si noti. Non siamo più ai tempi dei Balletti russi con Djagilev che fa da impresario di un gruppo di ballerini e coreografi. Il metodo di lavoro di Pina Bausch fu pervasivo e coinvolse tutte le sfere della produzione. Quel che emerge dalla pagine di Endicott è anche lo stupore di aver trattenuto una famiglia con tre figli nonostante la voracità di tempo e risorse fisico-psichiche prevista dal lavoro con Pina Bausch.


Pina Bausch fotografata da Walter Vogel
Oltre trentacinque anni di frequentazione si condensano nel memoriale di Jo Ann Endicoff che ha evidentemente una temperatura alta, data dal ricordo ancora vicino, dal dolore e dal sentimento d'amore che ne costituisce, senza misteri, il movente intimo. Ci sono vite che si vivono all'insegna di altre persone, con altre persone. E anche dopo un matrimonio e tre figli la vita di Jo Ann Endicott pare più che mai segnata dalla presenza di colei che la scelse a 22 anni. Abbiamo davanti, tra le righe, un sentimento contraddittorio: Bausch è madre e despota, può arrivare a esigere i capelli lunghi o le mèches di un dato colore, sessioni di lavoro proibitive e la sua presenza per Endicott (poco importa se giovane appena emigrata dall'Australia o adulta con tre figli) è totalizzante. Emerge chiara anche la stanchezza, persino il rischio di esaurimento che è insito in rapporti così plasmanti e trascinanti e che si manifesterà con l'assenza irreversibile giunta con la morte della coreografa. Il libro di Jo Ann Endicott è allora, oltre a una nuova vicina testimonianza sulla coreografa tedesca interessata a cosa muoveva i danzatori (più che a come si muovevano), anche un libro che si allarga per affrontare queste strane relazioni che possono accadere nella vita e durare (durare davvero a lungo, talvolta). E tornando al discorso del linguaggio, quel che affiora dall'opera di Pina Bausch è un interesse primario e primordiale per quel nucleo incandescente della vita e delle relazioni che il suo teatrodanza ha provato a toccare e sintetizzare, inaugurando un percorso e una grammatica che hanno affrontato con coraggio gli iniziali clamorosi insuccessi di pubblico e che ora si appresta ad affrontare i ben più perniciosi rischi di una canonizzazione precoce. E da un ricordo vivido di una Ifiginia in Tauride in Grecia, alle prove del più noto Café Müller, transitando per Two Cigarettes in the Dark e le riprese a distanza di anni di Kontakthof, ne usciamo con qualche domanda in più su quella pellicola che avvolge il nostro nucleo di intrichi più inconfessabili. Sono intrichi e grovigli che le scene, la musica, i rumori e il movimento del teatrodanza hanno irrimediabilmente squarciato, senza possibilità di ricucire nulla: il nucleo incandescente che tiene in orbita le relazioni è ora nudo, liscio e forse vuoto.


Two Cigarettes in the Dark
Tanztheater Wuppertal Pina Bausch
1994 Next Wave Festival
BAM Howard Gilman Opera House

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