Transalpina Editrice ha da poco pubblicato Quel Carso felice, una raccolta di 40 poesie del poeta sloveno Srečko Kosovel (Sesana, 18 marzo 1904 – Tomadio, 27 maggio 1926). Il volume è curato da Michele Obit, autore anche delle traduzioni. Di seguito potete leggere un suo breve saggio e tre poesie tradotte.
«Attraverso la
finestra vedo la strada, una bella strada grigio argento, luccicante nel sole
autunnale. Di fronte c’è un muro, dietro il muro un ciliegio, dietro il
ciliegio un pergolato, dietro il pergolato un campo, dietro il campo una landa,
dietro la landa dei pini, dietro i pini le colline.
Questo vedo
attraverso la finestra. E sotto la finestra scorre la strada e per essa la
vita. Silenziosa si riversa da chi lo sa quanti anni per queste valli, ancor
prima ci fosse questa strada, ancor prima ci fosse questa finestra, ancor prima
ci fosse questo uomo che osserva e pensa.»
Noi lo
immaginiamo, Srečko Kosovel, mentre attraverso le sue lenti sottili si immerge
in quel paesaggio che non è cambiato poi tanto da allora — sono passati quasi
cent’anni —, solo la strada è oggi asfaltata, ma non mancano i muretti ed i
ciliegi, e la vita contadina qui non si è ancora arresa allo strapotere delle
industrie e dei centri commerciali. Qui è Tomaj, oggi poco più di trecento
abitanti, sull’altopiano carsico sloveno, nel comune di Sežana. La casa dove
Kosovel ha vissuto gli ultimi anni della sua troppo breve vita, e da cui
osservava quel paesaggio così mirabilmente descritto, esiste ancora, ed è
diventata una casa-museo che offre ai visitatori oggetti, libri e sensazioni di
quella che è stata una vita breve e intensa, sofferta e poetica.
Srečko nasce
il 18 marzo 1904 a Sežana, ultimo di cinque figli. Il padre, Anton, di origine
contadina, è prima maestro e poi direttore della scuola elementare del paese. È
appassionato di musica e dirige un coro. La madre, Katarina Stres, originaria
di Sužid presso Kobarid (Caporetto), è stata dama di compagnia di una nobile
famiglia triestina. Srečko è il più giovane di cinque figli, il beniamino della
famiglia. Più del fratello Stano e delle sorelle Karmela, Anica e Antonija
avverte, allo scoppio della Prima guerra mondiale, lo strappo da un'infanzia
serena, vissuta in un ambiente armonioso e denso di attività culturali, anche
all'interno della stessa famiglia Kosovel. Famiglia che nel frattempo si è
trasferita a Tomaj.
Nel 1916
Srečko si iscrive alle scuole superiori di Lubiana, dove è costretto a vivere
in misere condizioni, in austere camere d’ affitto condivise con i compagni dei
corsi. Gli anni di Lubiana sono caratterizzati dall’intenso studio e da una
vita ascetica, che però non gli precludono la partecipazione alla vita
culturale della città. Ma sono anche, e forse soprattutto, gli anni in cui
nell’animo del poeta trova forma quel sentimento che gli sloveni usano indicare
con la parola hrepenenje, termine che
si potrebbe tradurre con desidero, anelito, ansia, non fosse che contiene
qualcosa di nostalgico, il rimpianto per ciò che non è accaduto e tanto meno
accadrà. Questa è la brama che Kosovel prova per il suo Carso, per un paio di
anni raggiunto solo durante le vacanze scolastiche, poi, conclusa la guerra,
ancora più lontano: un confine lo separa dalla sua casa e dai familiari. Da una
parte il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, riconosciuto dalla Conferenza di
pace di Parigi nel 1919 (per Kosovel, come scrive in una lettera a Dragan
Šanda, poeta e professore di francese, la condizione degli sloveni è quella di
chi si sente «sotto i tacchi dello jugoslavismo»), dall’altra l’Italia
fascista, che perquisisce l’abitazione familiare perché il padre non vuole
iscriversi al partito.
Il Carso,
comunque, resta la ‘casa’. Ha scritto mirabilmente Boris Pahor, raccontando un
poeta da lui molto amato e consentendo a noi di avvicinarci alla sua prima fase
poetica, quella impressionista, quella dedicata alla nostalgia dei momenti
felici: «Non è affatto strano che il giovane, innamorato della sua terra, senta
confondersi nel suo essere un mare di energia, oppure provi l'impulso di
inginocchiarsi davanti all’infuocata solennità dell’altro solare, andando poi
per il Carso come un re, pieno di nuova vitalità.».
Kosovel
trasforma questa vitalità in poesia. Lo fa cogliendo, del paesaggio
impressionista, di ciò che osserva dalla finestra della casa di Tomaj — quel
paesaggio così diverso dalla grigia coltre nebbiosa e dalla severità dei
palazzi austroungarici di Lubiana — soprattutto alcuni aspetti: l’influenza
della bora, la presenza dei frutti che di stagione in stagione colorano i
campi, il profumo dei pini, alberi che paiono sentinelle, mentre il poeta e la sua
gente sono colti dal turbamento dovuto alla presenza di un'autorità straniera.
Così in Pesem s Krasa (Canto dal Carso)
cogliamo un aspetto, un piccolo quadro del paesaggio carsico: peculiari sono,
per la zona di Tomaj, due boschi di pino, uno a sud e l'altro a sud-ovest del
villaggio, che fanno da contrasto alla landa carsica che si estende tra
essi. I pini, alberi scuri odoranti di resina, il poeta li assume come fossero
parte di sé, e così facendo li anima. In Vas
za bori (Il paese dietro ai pini) comincia ad insinuarsi un
cambiamento, pur se tutt'altro che brusco, verso l' espressionismo, con l'uso
di nuove metafore: le braccia degli alberi, il villaggio come un uccello,
stretto nell’abbraccio dei pini. In Balada
(Ballata) è descritta con versi brevissimi la tragedia dell’uccisione di una
cesena, forse testimonianza di una sciagura di ben altre dimensioni di cui il
poeta è di certo consapevole. E ancora in Premišljevanje (Riflessione)
all’immagine del paese carsico silente si aggiunge la nostalgia per il focolare
di casa, l’impossibilità di un veloce ritorno tra le mura domestiche. Fino ad
arrivare a Pesem s Krasa (Canto carsico) dove solo la solitudine del
poeta toglie per un attimo splendore ad un paesaggio nel quale è possibile non
solo vivere, ma anche combattere ed essere giovane e sano.
(...)
Michele Obit
Tre poesie da Srečko Kosovel, Quel Carso felice, Transalpina Editrice.
Strada dei solitari
Appoggiato alla finestra osservo
i castagni dondolare lievemente,
un vento tenue vi è rimasto
impigliato, come un sogno inconsistente...
Ah, le nuvole così se ne sono andate
in uno sfavillio dorato, un lucore
e solo io qui son rimasto
in questo luogo senza rumore.
Come farfalle hanno volato,
vedo ancora delle ali il bianco luccichio,
sono rimasto solo, tutto solo.
Dove andare, qual proposito fare mio?
Cesta samotnih
Na oknu slonim in gledam
mehkó zibajoče se
kostanje,
rahel veter se je ujel
vanje, rahel kot
sanje...
Ah, odplavali so oblaki
v zlatem blestenju, v
zlatem sijaju
in samo jaz sem tu ostal
v tihem tem kraju.
Kakor metulji odplavali
so,
še vidim belo blestenje
njih kril,
sam sem ostal, sam,
čisto sam.
Kam in kod, kje mi je
cilj?
Viaggio
Qui e là. Solo un breve viaggio.
L’albero, la torre. E la casa. Un monte. Un versante.
Come una fredda malinconia. Come sogni silenziosi.
Te ne vai. Un palpito stanco e pesante.
La stazione. Il ristorante. E le foglie
che dai castagni cadono sulla tavola imbandita.
E quella signora. Silenziosa e sola.
Lo sguardo. Le foglie brune. Un’impressione sbiadita.
Terra straniera: come l’autunno e la sconosciuta
tutta fuggevole, fredda. Qui da noi c’è tepore.
Le foglie svolazzanti. Verso le Caravanche.
Un tunnel: brilla il suo occhio nel tenue chiarore.
Potovanje
In tu in tam. Le bežno
potovanje.
Drevo in stolp. In hiša.
Gora. Hrib.
Kot žalost mrzla. Kakor
tihe sanje.
Odhajaš. Truden in težak
utrip.
Postaja. Restavracija.
In listje
se siplje raz kostanje
preko miz.
In tista dama. Tiha je
in sama.
Pogled. Rjavo listje.
Bežen vtis.
Tujina: kot jesen in kot
neznanka
vsa bežna, mrzla. Tu pri
nas topló.
Leteče listje. Proti
Karavankam.
Tunel: v poltemi sije
nje oko.
Alla stazione provinciale
Sull’ottone (rotelle dorate,
dentellate e lisce, tasti ossuti)
luccica il sole
come avesse gli occhi socchiusi.
Qui e là la rotella si solleva –
un accordo lontano si è desto,
l’impiegato scioglie il nastro –
ogni giorno la stessa chiamata...
Monotoni passi, chiusi nell’atmosfera
da ufficio – due binari vanno al mondo,
attraverso la finestra – la desolazione del Carso,
pini e ginepri, acacie, fiori selvatici –
quattro treni al giorno. – –
Un suono. Da sopra i pugni
ha sollevato le guance
destandosi dai mesti sogni.
Na
provincialni postaji
Na medenini (zlata
kolesca,
zobata in gladka, tipke
koščene)
sonce blešči
kakor s polzaprtimi
očmi.
Tu in tam vstane kolesce
–
daljen akord se je
zbudil,
uradnik odveže trak –
vsak dan enak poziv ...
Monotoni koraki, v
pisarniški vzduh
zaprti – dva tira v
svet,
skozi okna – puščava
Krasa,
brinje in bori, akacije,
divje rože –
štirje vlaki na dan. – –
Pozvonilo je. Iznad
pesti
je dvignil lice
in vstal iz žalostnih
sanj.
(traduzioni dallo sloveno di Michele Obit)
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