Spesso con la parola "affresco", nell'ambito della narrativa, siamo soliti riferirci a un'opera che per visuale, dimensioni e sguardo abbraccia una vastità di personaggi, situazioni e tempi. Tale accezione però sta stretta (anzi larga) per questo Affresco di Magda Szabó, proposto dalla casa editrice L'Anfora (pp. 240, euro 18, traduzione di Vera Gheno e Claudia Tatasciore, introduzione di Gian Paolo Serino), la quale si sta rendendo protagonista di una vivace riproposizione delle opere di questa fondamentale scrittrice ungherese. Il libro rientra infatti nel novero di quelle storie che succedono tutte in una giornata e pure l'orizzonte spaziale è ristretto, dal momento che il tempo narrato insiste tutto nel villaggio ungherese di Tarba. Affresco fa parte di un'operazione editoriale che comincia da lontano e che tra il 2016 e 2017 ha visto il catalogo di questa casa editrice arricchirsi dei titoli Abigail, Per Elisa e Il momento (Creusaide). Il libro fu concepito nel 1953 ma apparve soltanto in seguito ai fatti d'Ungheria. Fu la sua edizione tedesca del 1960 per l'editore Insel, e in particolar modo la malleveria di Hermann Hesse, a decretare la fortuna di questo primo romanzo della scrittrice scomparsa dieci anni fa. Il contesto è quello di un altro grande libro "famigliare" del Novecento e pure quello di un "ritorno a casa", nella fattispecie del ritorno di Annuska. Il pretesto è il funerale della moglie di un autoritario prete calvinista, per anni curata in manicomio. Annuska era scappata di casa molti anni prima per dedicarsi al sogno della pittura e scappare dal padre manesco. Forte è la carica allegorica di tutti i personaggi della galleria popolata da Szabó.
Quando iniziò a scrivere Affresco, Magda Szabó era già un'autrice di poesia conosciuta, dopo il fortunato esordio del 1947. La prima opera di prosa arrivò in un momento in cui il regime osteggiava la scrittura della Szabó e la scrittura non impegnata in generale. L'importante premio letterario "Baumgarten" le fu conferito per il secondo libro di poesia del 1949 e quindi subito ritirato il giorno stesso dal "minculpop" d'Ungheria, per mano del ministro József Révai. E oggi a chi legge questo libro sono chiari i motivi di interesse, sia in chiave autobiografica, sia in chiave storiografica, soprattutto attraverso la lente del padre autoritario che non concede la lettura dei classici o la concede in versione opportunamente purgata. Il congegno narrativo al quale è sottoposto Affresco ci dice di un carosello di punti di vista che vivono in alternanza nel breve lasso di tempo delle ore del funerale. E l'"affresco" di cui si diceva in partenza è allora quello che raffigura tutti i personaggi di questa che non è l'ennesima saga famigliare, bensì uno sprofondamento dentro un fallimento pieno e devastante, riaffiorante di pagina in pagina con ogni singola testimonianza immessa nel telaio di un'opera che prova già a cimentarsi con le tecniche della narrativa contemporanea (i molti punti di vista di cui si è detto, la loro rifrazione, la concessione a un flusso di coscienza). Se l'interesse che il romanzo riscosse all'epoca è facilmente spiegabile, come tutti i successi che si possono leggere di pari passo con la vicinanza a determinati avvenimenti politici di un secolo, i lettori di oggi sapranno accostare a questo le pagine che hanno letto e metterle in fila in un'ideale galleria dei libri che hanno saputo dirci come perdiamo, ritroviamo e perdiamo definitivamente il passato. Per gli appassionati di quest'autrice, che in Italia non mancano, Affresco rappresenta un'opera prima che difficilmente si può mancare, anche per i riverberi che questo inizio ebbe nella scrittura in prosa successiva.
Nessun commento:
Posta un commento