©overtures #16
È un libro eccezionale questo, frutto del lavoro di una persona che è ormai entrata nel novero dei grandi visual designer italiani. Con "lavoro" si intende quindi anche l'attività quotidiana non coincidente solo con la ricerca e scrittura di libri. Effettivamente credo sia davvero tra i più preparati Riccardo Falcinelli e lo ha dimostrato anche con altri libri. E dato che ci siamo ricordiamo alcuni di questi titoli: Critica portatile al visual design. Da Gutenberg ai social network per Einaudi, Fare i libri per Minimum Fax e l'assai utile Guardare, pensare, progettare. Neuroscienze per il design per Stampa Alternativa. È eccezionale perché fa eccezione. Detto in altre parole, si fatica a trovare un prodotto simile a Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo (Einaudi, pp. VIII - 472, euro 24) nel mercato editoriale odierno. Il libro parte dall'esempio delle matite, che dopo la nascita fortuita alla fine del Settecento si sono imposte come standard per la scrittura e sono quasi tutte... gialle. Perché è successo questo? Perché la "giallezza" (o "giallitudine") è diventata parte dell'idea che abbiamo di matita un po' a tutte le latitudini? Certo, esistono le matite verdi o rosse, ma la stragrande maggioranza delle matite prodotte sulla faccia della terra è verniciata di giallo. Per passare a un altro colore, siamo sicuri che il nero sia nero? ("Nera più del nero" cantava Riccardo Cocciante in "Margherita"). Molto importante è esercitarsi a capire quanti toni e aspetti si racchiudano nella semplice nostra espressione "nero". Oppure, vi siete mai chiesti perché i manti della madonna da neri nel Quattrocento sono passati al preziosissimo oltremare? Questo studio si propone come una storia materiale (e anche scientifica) del colore, cerca di dirci come il colore abbia influito sul nostro sguardo, e trapunta il proprio impaginato passando continuamente dentro e fuori concetti come standard ed eccezione. Anche se probabilmente ci pensiamo poco, il colore ha una posizione prominente nelle nostre giornate: orienta, guida, emoziona, gerarchizza, colloca. Questo studio fa anche molte altre cose. L'innovazione di Falcinelli è quella di non rimanere fermo alla storia dell'arte, ma di aprirsi, diversamente dai tanti libri sul colore scritti da storici dell'arte, alla quotidianità, all'economia, alla fisiologia e persino all'antropologia e etnologia del colore. Da questo punto di vista un libro così è davvero imperdibile e può interessare un pubblico vastissimo, direi un pubblico coincidente con la quasi totalità delle persone che, dai professionisti dei più disparati mestieri agli appassionati, abbiano ancora voglia di leggere un testo utile, scritto bene e impaginato ancora meglio (non si parla quasi mai di impaginazione quando si affrontano i discorsi sulla fattezza dei libri e questo testo ha delle peculiarità che invito a scoprire).
In questo lavoro eccezionale c'è però una cosa che curiosamente non è uscita particolarmente bene o che quantomeno non fa eccezione. Mi riferisco alla copertina, il che potrebbe far sorridere, considerando la galleria di bellissime copertine allestite da Falcinelli per più case editrici italiane. Vedremo tra qualche riga che si tratta sicuramente di una scelta ponderata e coerente con l'impaginazione del volume. Alla fine, in fondo, è comunque una copertina efficace. Tuttavia non è una copertina particolarmente innovativa e si potrebbe aprire una lunga parentesi su cosa sia innovativo e cosa sia efficace e chiederci se i due termini vadano spesso in contrasto o meno. Credo che in definitiva sia proprio questo che colpisce, cioè il fatto che il contenuto davvero innovativo della trattazione non sia supportato da una copertina altrettanto innovativa. Tutto qui. La scelta di giocare la parola principale del titolo in corpo molto grande, con le lettere "bucate" di modo da lasciare intravedere soggetti di diversi colori, è sicuramente un modo coerente di illustrare quella stessa parola "Cromorama", disposta su due righe. In gergo pubblicitario si potrebbe dire che visual e headline si sostengono l'un l'altro in maniera salda. Allo stesso tempo però è uno stratagemma già visto e rivisto. Diciamo pure che c'è stata una stagione della grafica in cui si è abusato di questo stratagemma (mi tornano alla mente certe campagne stampa dell'emittente Sky di parecchi anni fa, prima del cambio del logo). Questa osservazione nulla toglie all'interno del libro, che come detto rappresenta la trattazione più aggiornata ed efficace si possa trovare oggi sul colore e la sua pervasità nel sistema che tiene insieme il nostro sguardo, la fisiologia, l'economia, i desideri e forse persino i sogni (Lei sogna a colori? era il bellissimo e curioso titolo di un libro-intervista di Eckhard Roelcke al musicista György Ligeti). Quando si arriva alla fine del libro, che può essere letto anche felicemente a piccoli sorsi, si scopre su fondo giallo una "Nota iconografica" che ci dice perché questa copertina, alla fine, sta bene in questo libro. La nota si riferisce alle immagini impaginate nel libro sotto forma di dettagli o brandelli e non nella loro interezza a differenza del modello editoriale classico, ma si può applicare anche alla copertina. Tra le altre cose ci dice che l'idea è "proporre un apparato figurativo che, scorrendo parallelamente al testo, solleciti uno sguardo articolato sulle immagini, rendendo fruttuoso il sincretismo che è ormai norma attraverso Internet e i social network." Poco prima Falcinelli aveva fatto bene a ricordare che "la maniera in cui il volume è impaginato è da considerarsi consustanziale al testo: il design del libro è già un punto di vista sul suo oggetto".
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