Un artista, il più grande fotografo d'Europa, diviene egli stesso opera d'arte dopo la morte. Ciò avviene tramite un processo di plastinazione attuato dal Dottor Tulp (proprio come il dottor Nicolaes Tulp del quadro "Lezione di anatomia" di Rembrandt). Giada, colei che fu la sua compagna (e non moglie come penseranno in tanti in questa storia), trascorre trenta giorni in visita nella sala in cui il corpo plastinato è esposto al passaggio di visitatori, giornalisti, critici d'arte e alla sua dolente e tuttavia mobile e laboriosa presenza, fatta di imbarazzi, riguardo, attenzioni plurime, arrabbiature, incontri. Potrebbe essere sintetizzato anche in questo modo Guasti, convincente romanzo d'esordio di Giorgia Tribuiani pubblicato da Voland (pp. 128, euro 14). Una sorta di diario e conto alla rovescia diventa allora il resoconto della protagonista, che nel piano del testo livella discorso diretto, discorso indiretto e punto di vista ondivago del narratore per trenta capitoli abbastanza brevi che procedono appunto alla rovescia, da 30 all'ultimo capitolo 1. L'occhio e l'orecchio del lettore inizianeranno presto a familiarizzare con il gioco di piani e incastri che Giorgia Tribuiani ha costruito lavorando anche negli interstizi minuti del testo (ad esempio, parlando di punteggiatura, troverete molti punti mancanti). Ma al di là della sinossi e di qualche annotazione su una prosa che non cade, va detto subito che quello che l'autrice sa fare in un numero di pagine contenuto è disporre in modo suggestivo un novero di questioni primarie che vanno dall'elaborazione del lutto al rapporto di coppia che diventa esposizione, da determinate situazioni che toccano logiche del sistema dell'arte contemporanea alle dinamiche di quella comunicazione che ci ostiniamo a chiamare giornalismo, incluso quello "culturale". Va da sé che un romanzo così tratteggiato rimanda inevitabilmente al nostro rapporto col morire e quindi col corpo, ma è qui che non ha senso anticipare troppo. Ce n'è davvero abbastanza per un romanzo breve, il quale per giunta pensa sé stesso - o immagina la propria trama - più come un susseguirsi di momenti speculativi, di personaggi evocati con grande economia di tratti decisivi ed è trascinato verso la fine e quindi verso un significato della fine da una cornice temporale che progressivamente si assottiglia, proprio come le pagine che rimangono da leggere nella parte destra, se stiamo leggendo l'opera su carta.
E se Giada è presenza costante di queste giornate, divisa com'è tra pastiglie che sciolgono l'ansia, ricordo di una vita assieme fatto di dialoghi col morto lì esposto, commenti fastidiosi dei visitatori, incursione in bagni guasti, l'insistenza delle persone che credono lei e il fotografo "sposati", c'è una presenza che appare sin da subito meno transitoria in questo flusso. Si tratta del vigilante del piano di sotto, anche lui responsabile del movimento in avanti - che a conti fatti, come detto, è un movimento all'indietro dei capitoli - di questa storia verso la propria fine. Perché le storie, si sa, hanno una fine e ciò che questo libro sa porre in prospettiva è una ridda di domande sul morire, sul fotografare, sul fare arte, sul ricordare, sul mostrare. Guasti, titolo che è sostantivo tanto quanto aggettivo, ha la grazia leggera di un'opera d'esordio che nasce tutta all'interno di un concetto compiuto, soppesato e distillato eppure aperto a letture, evocazioni e interrogazioni plurime. Questa concezione favorisce un coordinamento e un'unità di lingua, ritmo e visioni che si svolge con carattere persuasivo fino alla fine del centinaio di pagine e per tutti i trenta capitoli. E se l'autrice allude a questioni in fondo disperate calibrando la propria tastiera, avvicinandosi e accarezzando il macabro senza ostentarlo, c'è un immaginario ormai plasticale pienamente compiuto che viene a galla nel mare di questo libro, con tutto il carico di irrequietezza. Ma ci sono anche interrogativi sul come si ama una persona e sul carattere distruttivo di questo sentimento e - non da ultimo - su quel sentimento altrettanto centrale che risponde al nome di gelosia (e qui ritorna centrale il personaggio del vigilante). C'è solo una nota che mi pare stonata in questo libro d'esordio davvero bello. Mi riferisco alla copertina, non tanto al disegno in sé che senz'altro ha la propria dignità, ma alla capacità del visual di catturare e veicolare almeno una piccola parte del novero di spunti importanti che questo libro ha saputo allocare. Certo, vi è una citazione di Lucio Fontana, se vogliamo vederla. Ma mi sembra alla fine che una copertina simile non faccia esplodere la spinta intrigante che sta a monte di Guasti.
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