Mi sembra che ci sia una sola cosa che non va in La metà di bosco, nuovo romanzo di Laura Pugno (Marsilio, pp. 144, euro 16): la copertina. Peccato per l'immagine, con quel verdino che è diventato un cavallo di Troia con cui si penserà di sfondare le porte dell'attenzione del frequentatore di librerie. La dominante cromatica di questo libro mi pare ben lontana da quell'acqua in foto. Dal successo di Paolo Giordano in poi, pare questo un colore imprescindibile nella palette dei grafici editoriali. Ma al di là della dominante cromatica, che come tutte le cose riguardanti i colori risente delle mode o dei casi di successo, mi sembra che quella a lato sia un'immagine ingiusta per invitare ad aprire, leggere, acquistare questo suo ennesimo bel libro in prosa. Forse si è cercata l'abbinata con la copertina del precedente romanzo di Laura Pugno, La ragazza selvaggia, sempre per Marsilio, ma il risultato stavolta mi sembra discutibile. Considerando poi come copertina anche le bandelle, in quella di sinistra il protagonista del romanzo Salvo Cagli (nome e cognome che costituiscono incipit, prime due parole del narratore) diventa inspiegabilmente, o forse per eufonia, "Salvo Calvi". Insomma, dal cognome di un pittore - Corrado Cagli - le cui opere potrebbero avere persino qualcosa a che fare con le atmosfere di questo libro, si passa a un cognome di un importante banchiere, per stare alle prime associazioni. Misteri delle lavorazioni della filiera editoriale o una normalissima disattenzione? Peccato, perché i nomi in questo romanzo contano molto e il protagonista si chiama curiosamente Salvo.
Il lieve disappunto sulla copertina, chiaramente del tutto personale, s'accresce in realtà nella constatazione della piena riuscita di un altro romanzo di Laura Pugno. L'autrice unisce caratteristiche rare: tenuta della tensione per tutta la narrazione, costruzione a sbalzi di scene che alternano un'apparente normalità al perturbante. La fisicità del protagonista si avverte in ogni momento. E ci viene il torcicollo a spostare la nostra testa di qua e di là, a inseguire gli enigmi e la profonda interrogazione che riguarda sia la trama delle relazioni tra i personaggi sia quello che un tempo si sarebbe chiamato "il messaggio" dell'opera. In questo caso, tale messaggio sembra lambire le coste di una riflessione sul rapporto con i morti (più che con la morte) oppure le trasformazioni moderne di certi miti sui morti in superstizioni, credenze. Eppure non c'è un giudizio negativo stavolta nel parlare di superstizioni e credenze. E non a caso l'ambientazione è un'isola greca, anzi due isole greche minori, Halki (esistente) e Krev (inventata), separate da un braccio di mare stretto ma inquietante, vicine a Rodi ma lontane dai flussi vorticosi del turismo insulare greco estivo. Quest'ambientazione lavora in contrasto con il capitale simbolico di quei luoghi, mostrandoli avvolti da una crisi ancora profonda che li tiene separati dal resto del mondo, persino nelle telecomunicazioni. Insomma, è una Grecia che pare regredire in un antico primitivo, anche se i protagonisti si nutrono spesso di moderne scatolette di tonno gocciolante. Il narratore dissemina segnali e avvertimenti di inquietudine, crea due tipi di suspense nella scrittura, una di lungo corso che non è destinata a sciogliersi nemmeno con un finale normalissimo e rassicurante, e una di più breve passo che è destinata a risolversi, talvolta però solo per finta, nel giro di qualche pagina o addirittura all'inizio del capitolo successivo.
Salvo Cagli è un medico dell'Unità del sonno di un ospedale romano e, ironia della sorte, soffre di insonnia. Il suo è probabilmente solo burnout. Partito per una lunga vacanza ristoratrice, arriva prima a Rodi e poi si dirige verso Halki con una nave cisterna di fortuna. Qui sembra risolvere subito il suo problema col sonno e qui ritrova dei conoscenti che lo ospitano in una casa dove si affezionerà a una coppia di ragazzini, Nikos e Cora. Salvo è separato e la mancanza di sua figlia Lili pare insinuarsi nella proiezione verso Cora. Il suo è anche un ritorno ai luoghi dei viaggi dell'infanzia e dell'adolescenza, ma c'è ben poco da ricordare di quelle vacanze giacché tutto è mutato. La sua avventura pare presto trasformarsi in disavventura. La morte di Cora infatti è origine di una serie di eventi e movimenti che lo portano in situazioni di pericolo e al limite, all'interno di un set che lo vede fare la spola tra la più popolata Halki e la misteriosa isola di Krev, dove insiste la "metà di bosco" del titolo e sulla quale indugiano vecchie superstizioni e leggende che sembrano inverarsi. Attorno, tra i diversi profumi o lezzi del fico, si muovono sciami di api selvatiche e uno sciame di personaggi altrettanto enigmatici, che sembrano vivere di reticenze o di conoscenza mai condivisibile del tutto. E tra questi, bisognerà almeno citare la trentenne Magdalini, madre di Nikos, alla sua seconda maternità secca e silente, e il potente compagno tedesco di lei, che si sta comprando isola e isolotti. Senza rivelare troppo di un romanzo assai breve, si potrà dire che la morte di Cora, una morte non definitiva, transitoria, diventa il motore di una storia che ci porta, coi mezzi della letteratura, nei territori dell'incontro con chi è scomparso, ovvero in quei territori dove solamente col sogno ci è dato talvolta di addentrarci. In realtà la letteratura non è nuova a questi incontri, ma il punto di vista di Salvo porta il lettore a un duello quasi sfibrante tra razionalità e sogno, e conferisce alle allucinazioni una cittadinanza onoraria nella prosa. E proprio qui mi sembra che La metà di bosco offra il meglio di sé. Insomma, copertina a parte, è questo un altro importante libro dell'autrice di Sirene (libro con cui, tra l'altro, quest'ultimo lavoro presenta rinvii significativi).
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