martedì 9 ottobre 2018

Perrault e la morale. Uno scritto di Ludovico Setten

Pubblico di seguito uno scritto su Charles Perrault di Ludovico Setten, che ringrazio. Di Ludovico Setten si può leggere anche questo articolo su La mela nel buio di Clarice Lispector apparso su "Librobreve" lo scorso anno.

Il difensore dei Moderni

L’opera di Charles Perrault si presenta in opposizione al Classicismo del 17° secolo, che trova la sua espressione, in modo generale, nella poetica e nel pensiero di Nicolas Boileau. L’autore combatte fieramente e ostinatamente contro la concezione di superiorità dell’Epoca degli Antichi sull’Epoca di Luigi XIV e difende la creazione artistica di forme considerate nuove come, ad esempio, il conte des fées, genere letterario che lo renderà celebre.
La sua battaglia letteraria comincia nel 1687, quando presenta a l’Académie Française, di cui era cancelliere, il componimento “Il secolo di Luigi il Grande”, in cui non solamente egli diminuisce l’importanza dell’Antichità, ma afferma la superiorità artistica, scientifica e morale dell’epoca del Re Sole, affermazione che sarà ripresa e approfondita dall’autore nei quattro volumi del Parallelo degli Antichi e dei Moderni, in cui uno dei punti principali a favore dell’epoca di Luigi XIV è l’originalità, strettamente legata all’idea di novità.

La bella Antichità fu sempre venerabile,
ma non credetti mai che fosse adorabile.
Vedo gli Antichi senza piegare le ginocchia,
sono grandi, è vero, ma uomini come noi;
e si può comparare senza temere d’essere ingiusto,
il secolo di LUIGI al bel secolo d’Augusto.
[…]
Se noi volessimo togliere il velo specioso,
che la prevenzione ci mette davanti agli occhi,
e, stanchi d’applaudire a mille errori grossolani,
servirci qualche volta dei nostri lumi,
vedremmo chiaramente che, senza temerarietà,
non si può adorare tutta l’Antichità;
e ch’infine, ai nostri giorni, senza troppa confidenza,
le si può disputare il premio della scienza.[1]

Perrault, pur riconoscendo la grandezza dell’Antichità, invita i suoi contemporanei a guardare gli autori antichi con occhio critico e attento; egli propone di formare un giudizio che non sia preventivo e di utilizzare la ragione, “i nostri lumi”, per affermare la validità di un certo autore o di una certa opera; infine, egli mette in discussione qualsivoglia principio di autorità disputando agli autori classici il “premio della scienza” e i loro “mille errori grossolani”.
La posizione dell’autore è, dunque, chiarissima: non si tratta di disprezzare i grandi autori del passato, ma di mettere in evidenza le loro debolezze così come i loro meriti e qualità e, contemporaneamente, promuovere le arti e soprattutto la letteratura del 17° secolo, ritenuta superiore.
Come è stato detto, Perrault sostiene una concezione di modernità della letteratura in cui le idee d’originalità e novità sono del tutto fondamentali. Per differenziarsi degli autori francesi classici, Perrault decide di sviluppare un genere che cominciava a essere alla moda nei saloni letterari e mondani del suo tempo: il racconto. Questo genere era ben visto e apprezzato soprattutto se presentava degli aspetti d’ingenuità, ovvero se la narrazione era tratta dalla tradizione popolare. Questo tipo di racconto prenderà il nome di conte des fées. Marc Escola evidenzia chiaramente l’idea d’originalità che Perrault incarna:

[il genere] è ciò che s’inventa nella produzione dell’opera e meglio ancora nella sua ricezione. La nozione di originalità è sottomessa allo stesso spostamento: non passa attraverso le ‘varianti’ apportate a un modello canonico sempre-già disponibile, ma attraverso il ritorno di un déjà-vu, riconosciuto come tale – di in sapere che non è ‘letterario’ e che è quello di tutti, autonomo dunque dallo sguardo di ogni magistero. […] Importava che il regime ‘moderno’ fosse inassimilabile alla dottrina dell’imitazione. […] Tutto il valore di un testo, nel regime moderno che disegna questa finzione, si gioca dunque ‘a ricezione’, senz’altra mediazione che quella del lettore che prende il suo posto in una catena d’enunciazioni […].[2]



Il conte des fées: una natura morale?

Nel 17° secolo, i contes des fées avevano una natura romanzesca e completamente letteraria; erano scritti, in particolare, da signore dell’alta società, affascinate dall’elemento spettacolare che, nei contes, si converte in fiabesco. Perrault va contro la tendenza romanzesca e decide di trascrivere e rielaborare dei racconti che provengono dalla tradizione popolare orale, trasmessi generalmente da delle anziane (serve) e raccontati ai bambini: la versione definitiva di questa raccolta, edita nel 1697 da Claude Barbin, prenderà il titolo di Storie e racconti del tempo passato, con delle moralità.
Jean-Michel Adam e Ute Heidmann mettono in evidenza l’importanza della scelta del titolo dell’opera in un quadro editoriale – essendo Barbin l’editore di La Fontaine – e di continuazione della disputa tra gli Antichi e i Moderni:

Egli [Perrault] inserisce così la sua raccolta in un contesto editoriale preciso e introduce un effetto di genericità: i suoi racconti sono anche, in qualche modo, in ragione della presenza delle moralità, delle fiabe. È attorno alla questione delle “morali” e delle “moralità” che ruota una grande parte dell’argomentazione di Perrault, sia nella lettera-dedica-prefazione che nella prefazione dei racconti in versi del 1695 dove egli spiega che queste storie hanno solamente lo scopo di ‘far entrare più gradevolmente nello spirito e in un modo che istruisca e diverta insieme’ una ‘moralità lodevole e istruttiva’: ‘Ovunque la virtù è ricompensata, e ovunque il vizio è punito. [I racconti] Tendono tutti a far vedere il vantaggio che si ha a essere onesti, pazienti, accorti, laboriosi, obbedienti e il male che arriva a coloro che non lo sono.’[3]

Nella dedica di Storie e racconti del tempo passato si possono già incontrare gli obiettivi principali che Perrault si propone: raccontare delle storie che, anche se sembrano solo delle “bagatelle” per divertire i lettori, siano accompagnate da un insegnamento morale che possa favorire l’educazione dei bambini a cui le storie sono – apparentemente – indirizzate.

[I racconti] Racchiudono tutti una morale molto sensata, e che si scopre più o meno, secondo il grado di penetrazione di coloro che leggono; d’altronde, dato che niente marca tanto la vasta distesa dello spirito come potersi elevare allo stesso tempo alle più grandi cose, e s’abbassare alle più piccole; non si sarà sorpresi che nemmeno la Principessa a cui la natura e l’educazione hanno reso familiare ciò che c’è di più alto disdegni ricevere piacere da delle simili bagatelle.[4]

È interessante sottolineare come l’autore focalizzi la sua attenzione sul “grado di penetrazione di coloro che leggono”, utilizzando “i termini di ‘morale utile’ e di ‘morale molto sensata’ per designare il/i senso/i nascosto/i”[5] che il lettore deve cogliere.
Perrault non sceglie a caso delle narrazioni di origine popolare; al contrario, egli è del tutto consapevole del loro potere educativo e didattico, nascosto nell’elaborazione letteraria che si presenta tramite gli elementi dello spettacolare e del fiabesco. L’autore riconosce, nei racconti popolari, una forte moralità cristiana che egli considera necessaria all’educazione dei bambini e, soprattutto, per le giovani donne del suo tempo.
Perrault, inoltre, sottolinea l’utilità educativa, per una giovane donna dell’alta società, di conoscere la cultura del popolo:

[…] ma a chi conviene maggiormente conoscere come vivono i Popoli, se non alle Persone che il Cielo destina a condurli? Il desiderio di questa conoscenza ha spinto degli Eroi, e persino degli Eroi della vostra Razza, fin dentro a delle capanne e dei rifugi, per vederci da vicino, essi stessi, ciò che ci succedeva di più particolare, questa conoscenza essendo loro parsa necessaria per la loro perfetta educazione.[6]

L’elemento fantastico, nei contes des fées di Perrault, non è mai eccessivamente marcato. Lo scrittore vuole mantenere un certo grado di verosimiglianza, idea cara al Classicismo, per mettere in evidenza la riflessione morale, che è sempre staccata dal racconto e scritta in versi. L’autore esprime l’importanza del concetto di verosimiglianza direttamente nella dedica di Storie e racconti del tempo passato, tramite dei versi che non lasciano spazio all’interpretazione:

Potevo io meglio scegliere per rendere verosimile
Ciò che la Fiaba ha d’incredibile?
E mai Fata, un tempo,
Fece a una giovane Creatura
Più doni, e doni squisiti,
Che ve ne ha fatti la Natura?[7]

Il passaggio citato è importante al fine di comprendere l’idea poetica di Perrault e la sua concezione del conte des fées: lo spettacolare non avrà mai la forza espressiva della verosimiglianza ma può essere un elemento rappresentativo molto utile per costruire un testo letterario che possa apportare un insegnamento morale. Per Perrault, dunque, la letteratura ha un forte ruolo didattico, che si sviluppa accanto agli aspetti più puramente artistici o di divertimento.



“Barba Blu”: il Diavolo tentatore e la giustizia divina

Come è stato già brevemente accennato, la morale è una parte fondamentale dell’opera letteraria del difensore dei Moderni: nella disputa contro gli Antichi, la sua preoccupazione non è solamente quella di dare al lettore una “morale utile”, ma anche di dimostrare la superiorità della morale cristiana su quella pagana.[8]
È innegabile, tuttavia, che l’autore sia stato ispirato, in parte, da modelli classici come, ad esempio, “La favola di Amore e Psiche” di Apuleio.
Un’analisi molto interessante sul rapporto tra Perrault e i modelli classici è stata scritta da Ute Heidmann, che propone un parallelismo tra “La favola di Amore e Psiche”, Gli amori di Psiche e Cupido di La Fontaine e il racconto “Barba Blu” di Perrault. Heidmann sostiene che Perrault abbia costruito il personaggio di Barba Blu a partire da una contaminazione tra l’Amore di La Fontaine e la Venere di Apuleio:

Barba Blu esercita il suo potere tramite un mazzo di chiavi e una chiave in particolare arrogandosi un’autorità quasi divina che assomiglia fortemente a quella di Venere. […] Perrault ha cura di situare il suo personaggio dagli attributi mitologici in un ambiente “realista” che numerosi dettagli fanno riconoscere come proprio della sua epoca.[9]

Non sono del tutto d’accordo con l’analisi di Heidmann.[10] Secondo me, il personaggio di Barba Blu si ispira, in parte, a un’altra divinità della mitologia greca: Pan. L’enorme carica erotica e sessuale che Perrault attribuisce a Barba Blu, riconosciuta anche da Heidmann, unita alla descrizione del personaggio e del suo metodo per conquistare il cuore di sua moglie, mi conduce a ritenere Pan come la fonte d’ispirazione per Barba Blu:

Barba Blu, per fare conoscenza, le portò, con la loro madre e tre o quattro delle loro migliori amiche e qualche giovane del vicinato, in una delle sue case di campagna, dove restarono otto giorni interi. Si fecero solo passeggiate, partite di caccia e di pesca, danze e festini, grandi colazioni: non si dormiva assolutamente, e si passava tutta la notte a farsi delle malizie gli uni con gli altri.[11]

Tuttavia, mi sembra che Pan sia un’ispirazione alterata da un’immagine di origine cristiana, come sostiene James Hillman nel suo Saggio su Pan:

Tutti gli dei avevano degli aspetti naturali e potevano essere trovati nella natura, e questo ha indotto taluni a concludere che l’antica religione mitologica era essenzialmente una religione naturale, il cui trascendimento da parte del cristianesimo significò soprattutto la repressione del rappresentante della natura, Pan, che ben presto divenne il Diavolo dai piedi di capro. […]
Il capro solitario è infatti sia l’Unico che l’isolamento, una maledetta esistenza nomadica in luoghi deserti, che il suo appetito rende ancora più deserti, e il suo canto, ‘tragedia’. […]
Quando l’umano perde la connessione personale con la natura personificata e l’istinto personificato, l’immagine di Pan e l’immagine del Diavolo si mescolano.[12]

Mi sembra che Barba Blu sia una rappresentazione del Diavolo, figura che, come Hillman spiega, è tratta e adattata dalla mitologia greca e, in particolare, dal dio Pan. Il personaggio descritto da Perrault presenta i dettagli introdotti da Hillman, ma con un’accezione cristiana, data dalla presenza delle moralità alla fine del racconto; l’idea di morale suppone necessariamente un’idea di assoluto da cui dipendano bene e male, essendo Dio questa idea assoluta, creato dall’uomo. Un breve passaggio da I fratelli Karamàzov di Fëdor Dostoevskij descrive chiaramente questa nozione: “se infatti non esiste il Dio infinito, allora non c’è neanche la virtù, e non ce n’è neanche bisogno, allora”.[13]
Barba Blu è dunque il Diavolo tentatore e persecutore, colui che “proibendole [alla moglie] di aprire lo stanzino nell’ ‘appartamento in basso’, tenta la curiosità della giovane donna con la stessa perfidia con cui Venere invia Psiche negli inferi a cercare uno scrigno di belletto di bellezza divina, […] proibendole di aprirlo”.[14]
Un altro elemento che mi conduce a vedere Barba Blu come allegoria del Diavolo/Pan è la descrizione del movimento del personaggio; nel racconto, si può notare come il protagonista resti sempre allo stesso livello di altezza spaziale; la sua vera personalità è nascosta nell’ ‘appartamento in basso’, che ricorda l’abitazione di Lucifero o le grotte di Pan: “le ‘oscure caverne’ dove lo si poteva incontrare […] furono dilatate dai neoplatonici fino a indicare i recessi materiali in cui risiede l’impulso, gli oscuri fori della psiche da cui nascono desiderio e panico”.[15]
Una volta deciso a uccidere sua moglie, Barba Blu non sale mai al piano superiore della sua abitazione, da dove la donna prega al soccorso, dimostrando così un rifiuto totale a distaccarsi dalla propria spazialità:

Tuttavia, Barba Blu teneva in mano un gran coltellaccio, urlava a sua moglie con tutta la sua forza, scendi presto, o salirò lassù. […] Scendi velocemente, urlava Barba Blu, o salirò lassù. […] Non vuoi scendere, urlava Barba Blu. […] Barba Blu si mise a urlare così forte che tutta la casa tremò. La povera donna scese. […][16]

In questo racconto, Perrault presenta al lettore il tema della curiositas. Prima di divenire un elemento di riflessione tipicamente cristiano – l’esempio più poeticamente riuscito lo si ha con la storia di Ulisse nella Divina Commedia di Dante Alighieri[17] questo era un topos della letteratura antica. Perrault, seguendo il modello classico, condanna la curiosità:

La curiosità, malgrado tutte le sue attrazioni,
Costa ben spesso dei rimpianti;
Se ne vedono, tutti i giorni, numerosi esempi apparire.
È, non ne dispiaccia al sesso, un piacere ben leggero.
Da quando lo si prende, cessa di essere.
E sempre costa troppo caro.[18]

Perrault, ciononostante, vuole modernizzare il suo racconto e renderlo utile ed educativo: ecco perché decide di inserire la scena della preghiera e della lotta della sposa di Barba Blu che, d’accordo con sua sorella, chiede soccorso ai suoi fratelli, dei cavalieri che, infine, uccidono il malvagio marito.
La curiosità trasgressiva non costituisce, come afferma Heidmann, un “atto di sopravvivenza necessario in una società che sacrifica le sue ragazze nubili ‘vendendole’”[19], ma è piuttosto un richiamo a “servirsi dei nostri lumi”.[20]
La moglie di Barba Blu fa parte di coloro “che la ragion sommettono al talento”[21]; lasciandosi persuadere dalle grandi feste organizzate da Barba Blu, la giovane donna non utilizza lo spirito della sua ragione e consente a sposare Barba Blu, poiché “cominciò a trovare che il padrone del luogo non aveva più la barba così blu, e che era un uomo molto onesto”.[22] Questa era la vera possibilità che la giovane donna aveva di utilizzare la ragione per evitare un matrimonio pericoloso.
La morale cristiana concentra la sua attenzione in particolare su tutto ciò che non si deve fare. Gli insegnamenti morali che Perrault esprime trovano il loro fondamento in un modello che, con una esposizione più o meno diretta, presenta sempre una frase negativa – esplicita o implicita – dove si ha una “fabbricazione dell’ideale”: non si deve.[23]
Perrault lascia intendere un’idea di giustizia divina totalizzante. Nel racconto, il lettore non ha mai la possibilità di vedere la storia dal punto di vista di Barba Blu. La terza persona singolare che l’autore utilizza ha la funzione di nascondere, in realtà in modo non veramente efficace, la vera prospettiva di osservazione, quella della giovane sposa. Attraverso un sentimento di empatia con la protagonista, il lettore riconosce istantaneamente Barba Blu come il nemico o, per utilizzare un termine narratologico, l’antagonista.
Barba Blu è dunque il personaggio malvagio a priori e la giovane donna la rappresentante del bene e del buono. Nietzsche spiega, in un modo che potrebbe essere considerato polemico, il ragionamento che conduce a questa prospettiva:

E l’impotenza che non si prende la rivalsa, deve essere falsata in “bontà”; la timorosa abiezione in “umiltà”; la sottomissione dinanzi a coloro che odiamo in “obbedienza” (obbedienza, cioè, a uno che dicono imponga questa sottomissione – lo chiamano Dio). L’inoffensività del debole, la stessa codardia di cui costui è ricco, il suo stare alla finestra, il suo inevitabile dover aspettare, acquista ora un buon nome, in quanto “pazienza”, e viene altresì a significare la virtù stessa; […] forse questa miseria sarebbe altresì una preparazione, una prova, un ammaestramento, e forse ancora di più – qualcosa che un giorno verrà compensato e pagato con enormi interessi in oro, ma che dico! in felicità. Ed essi chiamano tutto ciò “beatitudine”. […] Odo soltanto ora quel che essi già tanto spesso dicevano: “Noi buoni – noi siamo i giusti” – a quel che pretendono non dànno il nome di rivalsa, bensì di “trionfo della giustizia”; quel che essi odiano non è il loro nemico, no! Essi odiano “l’ingiustizia”, “l’empietà”; quel che credono e sperano, non è la speranza della vendetta, l’ebbrezza della dolce vendetta (“più dolce del miele” – già la chiamava Omero), bensì la vittoria di Dio, del Dio giusto sugli empi.[24]

Tutti questi elementi sono presenti nel personaggio della giovane sposa che, a parer mio, incarna ed esplicita un’idea di giustizia totalmente cristiana. Il semplice fatto che la protagonista, una volta scoperta da suo marito, sia completamente rassegnata alla morte e gli domandi “un po’ di tempo per pregare Dio” e che, alla fine, quando vede giungere i suoi fratelli, esclami “Dio sia lodato”, dimostra un carattere d’impotenza che si trasforma in domanda di giustizia divina.[25]
Pensare che Barba Blu non sia cattivo può risultare immorale: è doveroso ricordare, però, che l’idea stessa di morale discende da una prospettiva platonico-cristiana.[26]
Ecco perché Barba Blu è identificato con il Diavolo/Pan: egli rappresenta ciò che Nietzsche chiama “il signore”, portatore dell’“ideale aristocratico”, ovvero cosciente di se stesso in tutta la propria completezza. Barba Blu, accettando la sua vera natura, arriva a imporre il suo volere su chi, come la giovane sposa, non è riuscito a rendersi forte. Questo tipo di personaggio, allora, dà un nuovo significato ai termini “buono” e “cattivo”, in opposizione alla concezione del “signore”:

Mentre ogni morale aristocratica germoglia da un trionfante sì pronunciato a se stessi, la morale degli schiavi dice fin dal principio no a un “di fuori”, a un “altro”, a un “non io”: e questo no è la sua azione creatrice. Questo rovesciamento del giudizio che stabilisce valori – questo necessario dirigersi all’esterno, anziché a ritroso verso se stessi – si conviene appunto al ressentiment: la morale degli schiavi ha bisogno, per la sua nascita, sempre e in primo luogo di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimerci in termini psicologici, di stimoli esterni per potere in generale agire – la sua azione è fondamentalmente una reazione.[27]

Mi sembra che il caso della giovane sposa risponda completamente a questa analisi; in questo racconto, dunque, Perrault propone una morale che, per definizione e per sviluppo, può essere solamente e fondamentalmente cristiana; una morale che impone, dall’esterno, delle regole necessarie di comportamento che sono sempre dialetticamente in opposizione a dei comportamenti differenti.
Per concludere, ritengo che, presentando al lettore una morale pienamente cristiana, Perrault riesca nel suo proposito di esaltare l’epoca di Luigi XIV, un re che, incarnando le idee di potere assoluto e di diritto divino, rientra perfettamente in questa concezione di morale: il solo modo, infatti, di soddisfare una società guidata da un potere assoluto, è di darle una morale che sia, a sua volta, assoluta.

Bibliografia

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les Grimm) », Langages 2004/1 (n° 153).

Alighieri, Dante, « Inferno », Divina Commedia, Arnoldo Mondadori Editore, collezione I Meridiani, Milano, 1991.

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Escola, Marc, Marc Escola commente : ‘Contes’ de Charles Perrault, Editions Gallimard, Paris, 2005.

Heidmann, Ute, « Comment faire un conte moderne avec un conte ancien ? Perrault en dialogue avec
Apulée et La Fontaine », Littérature 2009/1 (n°153).

Heidmann, Ute, « La Barbe bleue palimpseste. Comment Perrault recourt à Virgile, Scarron et Apulée
en réponse à Boileau », Poétique 2008/2 (n° 154).

Hillman, James, Saggio su Pan, Adelphi Edizioni, Milano, 1977.

Leopardi, Giacomo, Zibaldone di pensieri, Vol. 1, Arnoldo Mondadori Editore, Milan, 1983.

Nietzsche, Friedrich, Genealogia della morale, Adelphi Editore, Milano, 1968.

Perrault, Charles, Le siècle de Louis le Grand, éd. Jean Baptiste Coignard, Paris, 1687.

Perrault, Charles, Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, éd. Claude Barbin, Paris,
1697.


Note

*Dove non diversamente indicato, le traduzioni delle opere sono da intendersi a cura dell'autore di questo scritto.



[1] Perrault, Charles, Le siècle de Louis le Grand, éd. Jean Baptiste Coignard, Paris, 1687, p. 3-4. 
[2] Escola, Marc, Marc Escola commente : ‘Contes’ de Charles Perrault, Editions Gallimard, Paris, 2005, p. 67-69. 
[3] Adam, Jean-Michel, Heidmann, Ute, « Des genres à la généricité. L’exemple des contes (Perrault et les Grimm) »,
Langages 2004/1 (n° 153) p. 64. 
[4] Perrault, Charles, Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, éd. Claude Barbin, Paris, 1697, p. 4-5. 
[5] Adam, Jean-Michel, Heidmann, Ute, « Des genres à la généricité. L’exemple des contes (Perrault et les Grimm) »,
Langages 2004/1 (n° 153), op. cit. p. 64.
[6] Perrault, Charles, Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit., p. 5.
[7] Ibid. p. 6.
[8] Cfr. Escola, Marc, Marc Escola commente : ‘Contes’ de Charles Perrault, op. cit., p. 41: “I racconti ‘moderni’ hanno inoltre e soprattutto questa superiorità sulle fiabe dei pagani, che la loro morale è più chiara, e meglio conforme alla religione cristiana e alla semplice ‘onestà’ che le fiabe dei pagani”.
[9] Heidmann, Ute, « Comment faire un conte moderne avec un conte ancien ? Perrault en dialogue avec Apulée et La Fontaine », Littérature 2009/1 (n°153), p. 28.
[10] Per le tematiche di “Barba Blu”, cfr. Heidmann, Ute, « La Barbe bleue palimpseste. Comment Perrault recourt à Virgile, Scarron et Apulée en réponse à Boileau », Poétique 2008/2 (n° 154).
[11] Perrault, Charles, « La Barbe bleue », Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit., p. 58.
[12] Hillman, James, Saggio su Pan, Adelphi Edizioni, Milano, 1977, p. 49-59.
[13] Dostoevskij, Fëdor, I fratelli Karamàzov, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1994, p. 873.
[14] Heidmann, Ute, « Comment faire un conte moderne avec un conte ancien ? Perrault en dialogue avec Apulée et La Fontaine », Littérature 2009/1 (n°153), op. cit., p. 31.
[15] Hillman, James, Saggio su Pan, op. cit., p. 50.
[16] Perrault, Charles, « La Barbe bleue », Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit., p. 57-82.
[17] Cfr. Alighieri, Dante, “Inferno”, canto 26, versi 112-120, Divina Commedia, Arnoldo Mondadori Editore, collezione I Meridiani, Milano, 1991, p. 786-789.
[18] Perrault, Charles, « La Barbe Bleue », Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit. p. 82.
[19] Heidmann, Ute, « Comment faire un conte moderne avec un conte ancien ? Perrault en dialogue avec Apulée et La Fontaine », Littérature 2009/1 (n°153), op. cit., p. 34.
[20] Perrault, Charles, Le siècle de Louis le Grand, op. cit., p. 4.
[21] Alighieri, Dante, “Inferno”, canto 5, verso 39, Divina Commedia, op. cit., p. 143.
[22] Perrault, Charles, « La Barbe bleue », Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit., p. 57-82.
[23] Nietzsche, Friedrich, “‘Buono e malvagio’, ‘Buono e cattivo’”, Genealogia della morale, Adelphi Edizioni, Milano, 1968, p. 36.
[24] Ibid., p. 36-37.
[25] Perrault, Charles, « La Barbe bleue », Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, op. cit., p. 57-82.
[26] Cfr. Leopardi, Giacomo, Zibaldone di Pensieri, Vol. 1, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1983, p. 483-484. “[…] supporre il bello e il buono assoluto, è tornare alle idee di Platone, e risuscitare le idee innate dopo averle distrutte, giacché tolte queste, non v’è altra possibile ragione per cui le cose debbano assolutamente e astrattamente e necessariamente essere così o così, buone queste o cattive quelle, indipendentemente da ogni volontà, da ogni accidente, da ogni cosa di fatto. […] Certo è che distrutte le forme Platoniche preesistenti alle cose, è distrutto Iddio.”
[27] Nietzsche, Friedrich, “‘ Buono e malvagio’, ‘Buono e cattivo’”, Genealogia della morale, op. cit., p. 26.

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