martedì 3 dicembre 2013

"Per restare fedeli". La poesia di Stefano Raimondi

Librobreve intervista #31

C'è l'impressione che Transeuropa si sia un po' persa per la via. Del resto i tempi sono difficili per ogni azienda, figuriamoci in editoria. Il fatto è che fino a poco tempo fa questa casa editrice di Massa dava l'idea di poter diventare un punto di riferimento per la poesia in Italia, capace di coprire con un bel progetto e un promettente catalogo quello spazietto che le due collane poetiche maggiori, di Mondadori e Einaudi, occupano più che altro per rendita di posizione, quasi svogliatamente, per heritage più che per reale convinzione o "missione". L'impressione che l'editore promettente abbia mostrato difficoltà, soprattutto nella distribuzione e nella promozione, rimanendo invece assai invitante nelle scelte editoriali, non è soltanto mia. Ovviamente, chiunque abbia a cuore la ricerca poetica spera che simili impressioni, giustificate però da difficoltà oggettive a reperire tanti titoli (è la personale esperienza), non siano del tutto vere e che si tratti solo di una fase, tra l'altro comune a tanti soggetti impegnati nell'editoria. Se le impressioni però fossero corrispondenti al vero, sarebbe un peccato perché alcuni titoli di questa casa editrice, transitati anche in questo blog, sono davvero tra i più validi degli ultimi anni ed il merito va probabilmente ascritto al comitato editoriale operante in seno alla casa editrice. Ed è anche il caso di Per restare fedeli (pp. 96, euro 9,90), il libro di Stefano Raimondi del quale colloquio nelle righe che seguono con l'autore, fresco di importanti riconoscimenti e prossimo alla finale del Premio "Città di Fabriano", che si terrà il prossimo sabato 7 dicembre.

LB: Fammi partire dal titolo, che poi è sempre un asse(t) fondamentale di un libro. Ci racconti dove nasce questo titolo intrigante?
RISPOSTA: Ogni titolo è davvero un calco riassuntivo della storie che nel libro vengono raccontate e lascia sempre quell'orizzonte d'attesa a sollecitare la curiosità e l'attenzione di chi ha scelto di seguirne il destino. “Per restare fedeli" è un verso del mio poema, è un passo che ritengo essere l'insieme di due parole fondamentali: “Restare” nonostante tutto e nonostante il tutto e “fedeli” che dice il gesto, l'intenzione di un rapporto, di una relazione. Questo è un libro di fedeltà e d'abbandono e proprio su questo “chiasmo”, che la scelta diventa ancora più radicale, importante. Per restare fedeli è un titolo nato per farsi capire e per farsi intendere. Qui inoltre c'è anche un riferimento alla fedeltà a se stessi e alle proprie scelte, perché solo da questo calco iniziale, si può incominciare a “restare fedeli” a chi saprà condividere con te una reale progettualità esistenziale e non solo.

LB: Nella tua nota ci sono pochi cenni sulla genesi di questo libro di poesia. Quale arco di scrittura prende quest'ultimo libro e quali le motivazioni più profonde (se si può parlare di "motivazioni" in poesia)?

RISPOSTA: Il testo è stato scritto più di dieci anni fa. Il suo inizio è databile intorno al 2001 e precisamente in seguito ai fatti sconvolgenti di Genova. Per restare fedeli nasce dunque proprio da un cortocircuito storico-emotivo che mi ha colto durante quegli anni. Un lungo rapporto amoroso finito e lo scoppio delle guerre e delle rivolte che ho sentito come il riverbero/riflesso della mia situazione interiore. Due guerre: una privata e l'altra storica/epocale. Gli eventi di Genova, la caduta delle torre gemelle e lo scoppio della guerra d'Iraq, sono stati qui i puntelli che hanno incardinato il mio sentire dentro una narrazione dialogica e bifronte. Le guerre e il loro continuo disamore e, di rimando, l'amore con la sua guerra e le sue morti, le sue uccisioni sono le vie sulle quali ho progettato la scrittura di questa raccolta. Da entrambi si esce per speranza e con la voglia di rimediare ai torti subiti, ai dolori patiti. Ma se nel primo caso è la fortuna a farci restare in vita, nel secondo caso è solo lo scambio autentico con la persona amata, a portare provviste per il “dopo”, o meglio, anche per il “dopo”. Le motivazioni interiori plasmano ogni cosa mentre sono le progettualità artistiche – le poetiche – a definire nell'opera il suo perimetro: lo spazio per l'affondo etico. Ogni parola in poesia pone l'attesa del vero.

LB: Torna la guerra protagonista e penso anche al tutto sommato recente Guerra di Franco Buffoni. Ma Buffoni non è l'unico. Ci racconti meglio che territorio occupa la guerra (le guerre) nella tua scrittura poetica?
RISPOSTA: La guerra è per me un racconto continuo. Le guerre sono anche le parole tolte alle narrazioni: parole tolte male. Ma proprio per il fatto di raccontarle si presume di esserne scampati, sopravvissuti. Per fortuna non ho mai vissuto una guerra reale e non me lo auguro proprio, ma ciò che mi rende vicino empaticamente ad una guerra svolta nel mio tempo, nella mia epoca è il dolore della fatica e della fame che mi vengono incontro per farsi interpretare/sentire. Non ci sono guerre lontane. La “guerra” dovunque essa sia ci riguarda sempre! Io sono della generazioni di chi ha avuto i genitori nati e cresciuti sotto le bombe della seconda guerra mondiale; genitori e conoscenti che hanno passato ore e giorni nei rifugi, scampando ai bombardamenti in una città (Milano) che, a differenza della campagna, diventò una vera trappola per topi. Nelle città la guerra - mi diceva mio padre - la sentivi sulla testa e tra un bombardamento e l'altro si pregava di essere risparmiati. Ma era soprattutto la miseria e la fame a mietere più vittime, a fare del proprio vivere un'elemosina. La raccolta delle provviste era un esporsi reale e pericoloso e poter mangiare qualcosa ogni giorno era un'ossessione/desiderio che deflagrava più che le bombe. I racconti fatti dai miei, sono stati una storia reale che ho assunto come verità e spavento: come vita. La guerra detta da loro è stata la guerra capita da me!
Ogni guerra fa stragi e porta a degli stravolgimenti che nessuno può prevedere e le soluzioni di sopravvivenza delle persone si fanno estreme e decisive, nelle vite messe a prestito in quel tempo. Ho ascoltato la storia della fame e delle fughe, facendomi l'idea di una città distrutta fino alle cantine. Nel mio libro ci sono molto riferimenti ai rifugi e alla paura del buio illuminato solo da una fioca lampadina (come l'immagine perfetta ed essenziale che compare sulla copertina del mio libro), che dondola sulle facce di tutti , tra la paura di chi stava seduto ad aspettare che i caccia bombardieri finivano di mordere il cielo. Questi racconti , questa memoria/esistenza si è sovrapposta/sovrimpressionata alle notizie che leggevo quotidianamente dai giornali durante la seconda guerra del Golfo e la cronaca si intrecciava anche alla mia solitaria e privata guerra interiore: storia con la “S” maiuscola insieme alla storia con la “s” minuscola . È stato davvero un cortocircuito questo poema, un autentico lavorio di sovrimpressioni.

LB: Il binomio poesia-storia sembra più forte che mai. Penso anche ad un altro libro uscito per Transeuropa come Il noto, il nuovo di Giovanna Frene. Ma ci sono tanti altri libri che negli ultimi tempi sono tornati a scontrarsi/confrontarsi con questo binomio, che poi rimanda direttamente alla poesia come "forma di storiografia possibile". In Italia ma anche fuori dall'Italia. Che cosa pensi a riguardo?
RISPOSTA: Il binomio poesia e storia è una condizione naturale della poesia stessa. La Storia è la macrostruttura delle storie (quelle di tutti) e in questa relazione continua, la parola poetica diventa sismografica, tracciante, percettiva. La poesia è fatta di esperienze e dove le vite vanno ad intrecciarsi con i giorni, le opere diventano una testimonianza evidente del proprio agire, del proprio volere. La Storia è un racconto e la poesia una sua cifra. Non penso che la poesia possa essere civile solo come “genere”. Ogni poesia è civile perché politica in quanto portatrice dell'evento persona. Il rapporto poesia e Storia è dunque una condizione dello scrivere e di chi usa le parole per “dire” la sua possibilità d'esistere.

LB: Il tuo libro mi sembra un interessante banco di prova e sperimentazione per i rapporti tra testo e paratesti e tra poesia e prosa poetica. Come ti sei mosso nella scrittura in merito a questi vertici di un ipotetico perimetro di scrittura?
RISPOSTA: Sì questa raccolta ha un banco di lavoro molto ampio e molto vissuto. Ho voluto infatti tenere aperti due registri: poesia e cronaca. Soprattutto nella sezione centrale di “Blog out”, si possono notare come i brani dei quotidiani, letti in quei giorni di battaglia, siano divenuti i versi proemiali che solitamente abitano la mia scrittura poetica e che graficamente sono sempre posti in alto a destra, scritti in un corpo minore rispetto al testo centrale. Sono brani che innescano una situazione e propongono un legame con il resto che accade nel corpo centrale della pagina. Sono rimandi ma anche reali “immagini” di realtà che dialogano per rarefazione. Li intendo anche come “microfilmati” che si propongono come avvio a qualcosa che deve accadere, una sorta di prima intuizione. Ho ritagliato e sottolineato pagine e pagine in quei giorni, archiviandole, selezionando poi i dettagli che maggiormente sentivo capaci di racchiuderne gli eventi, ma anche le singole inquadrature. Questo modo di procedere, questo “montaggio” filmico dei testi è per me essenziale. Mi piace infatti affermare che io “giro” poesie più che scriverle. Il lavoro del montaggio ha per me la stessa importanza che il lavoro della gettata creativa. Jean-Luc Godard è un maestro per me in poesia quanto Giuseppe Ungaretti o Paul Celan.
Per quanto riguarda invece la comparsa di inserti di prosa poetica anche questa modalità è frutto di una “fucina” arredata nel tempo. La prosa poetica aveva già avuto una sua piccola apparizione nella raccolta d'esordio La città dell'orto (Casagrande, 2002) e poi più estesamente in Il mare dietro l'autostrada (Lietocolle, 2005), fino a concretizzarsi realmente come progetto scritturale, nella raccolta Interni con finestre (La Vita Felice, 2009). E' stato dunque un lento apprendistato e un pacato modo d'ascoltare questa particolare “misura” che, nella brevità ha la sua forza e nel ritmo il suo tono e la sua sostanza. Ho sempre pensato di non essere in grado di scrivere un romanzo e gli incipit mi hanno sempre invece molto affascinato. Ma il mio fiato è corto ed ogni tentativo di proseguire oltre “l'inizio” ha sempre dato scarsi risultati. Dunque la misura della piccola prosa poetica è la distanza massima che posso percorrere e da qui il tentativo di “dire” - nella tensione del “togliere” più che dell'aggiungere - ha realizzato in me la strada per questa scrittura ibrida e sincopata. La poesia resta a fare da partitura ritmica là dove la necessità di narrazione si fa prepotente e necessaria.

LB: Per concludere vorrei chiederti se sta accadendo qualcosa di importante e significativo attorno a questa tua ultima uscita poetica. Grazie.
RISPOSTA: Non so cosa sia importante realmente per la poesia, se non il fatto emblematico della sua resistenza come linguaggio. Attorno poi alla mia ultima raccolta si sono mosse risposte e ritorni davvero interessanti e, non in ultimo, premiazioni che mi hanno rallegrato. Ho partecipato e vinto al premio Marazza e ora sono in finale al Fabriano, dopo essere stato tra i finalisti del Fogazzaro e del Maconi. Vedremo cosa mi riserverà ancora il 2013.
Comunque sia se qualcosa di importante deve accadere intorno a un nuovo libro di poesia è sempre la sua relazione/reazione con il mondo e con la gente che ti sceglie per passare con te del tempo: il suo tempo! Questo è per me una grande cosa: il tempo dedicato. Bisogna sempre essere Ospiti e Ospitali in poesia!

Milano 2 dicembre 2013


Ad uso dei forzati del copia-incolla delle note biobibliografiche, ricopio qui sotto una sempre utile nota relativa all'intervistato:

Stefano Raimondi (Milano, 1964) poeta e critico letterario, laureato in Filosofia (Università degli Studi di Milano). Sue poesie sono apparse nell’Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2006) e su Nuovi Argomenti (2000; 2004). Ha pubblicato Invernale (Lietocolle, 1999); Una lettura d’anni , in Poesia Contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2001); La città dell’orto, (Casagrande, 2002 - Premio Sertoli Salis 2002); Il mare dietro l’autostrada (Lietocolle, 2005); Interni con finestre (La Vita Felice, 2009); Per restare fedeli (Transeuropa, 2013 – Premio Marazza 2013). È inoltre autore di saggi come: La ‘Frontiera’ di Vittorio Sereni. Una vicenda poetica (1935-1941), (Unicopli, 2000); Il male del reticolato. Lo sguardo estremo nella poesia di Vittorio Sereni e René Char, (CUEM, 2007); Portatori di silenzio, (Mimesis, 2012) e curatore dei seguenti volumi: Poesia @ Luoghi Esposizioni Connessioni, (CUEM, 2002) e [con Gabriele Scaramuzza] La parola in udienza. Paul Celan e George Steiner, (CUEM, 2008). È tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica”. Collabora a “PULP libri”, “Bookdetector”, “QuiLibri”, “Poesia” e tiene corsi sulla poesia in diverse associazioni culturali e strutture scolastiche. Curatore del ciclo d’incontri “Parole Urbane”. Svolge inoltre attività di consulenza editoriale, docenza presso la Libera Università dell'Autobiografia ed è tra i fondatori dell'Accademia del Silenzio.

3 commenti:

  1. Consiglio il suo "interni con finestre"

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  2. Ho avuto anch'io qualche difficoltà a recuperare libri di questo editore (ne ha fatti diversi di interessanti, come dicevi) ma almeno questo qui di Stefano si trova e val la pena. Ciao.

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  3. Grazie dei commenti. Sì, come dicevo, questo e altri titoli di poesia meritano attenzione. Ad esempio anche "Stato in luogo" di Franco Arminio resta per me un libro molto bello di cui mi rammarico di non aver parlato finora, anche se con Arminio ho inaugurato questo blog nel 2011: http://librobreve.blogspot.it/2011_03_01_archive.html

    Saluti, Alberto

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