sabato 30 giugno 2018

La nuova edizione di "Le notti chiare erano tutte un'alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale" a cura di Andrea Cortellessa

Leggere una grande guerra #28


Segnaliamo la presenza della nuova edizione di Le notti chiare erano tutte un'alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale a cura di Andrea Cortellessa. Il nuovo volume, che segue, integra e arricchisce di molto quello uscito per Bruno Mondadori nel 1998, curato da un Cortellessa appena trentenne, vede la luce nell'ultimo anno del fantomatico "centenario" della Grande guerra. Lo pubblica Bompiani (pp. 800, euro 22) e ha l'aria di suggellare con qualcosa di utile, sensato e rinnovato un quinquennio che a tutti gli effetti si può invece considerare un'occasione di ripensamento e riflessione mancata, a tutti i livelli, incluso quello editoriale. E ben venga allora questo colpo di coda, che torna alla poesia sommersa e emersa da quella guerra. Ma non solo alla poesia scritta durante quella guerra. C'è (c'era già nella prima edizione) anche Zanzotto, che nel 1918 non era ancora nato e ci sono nuovi autori antologizzati che si lasciano alla sorpresa di chi avvicinerà il volume dal montaliano titolo (curioso che quella poesia di Valmorbia coincida sostanzialmente con quanto Montale dedicò a quel conflitto nei suoi versi). C'è soprattutto - e va detto in questa cornice di segnalazione - un'aggiunta corposa rispetto alla prima edizione del volume: lo schedario biobibliografico contenente tutte le notizie militari disponibili di ciascuno dei 67 autori qui ospitati. Questo apparato si configura oggi come attrezzo indispensabile, quasi un libro parallelo e potenzialmente autonomo, che rende diversa questa nuova edizione di un titolo che da troppo si faticava a trovare in commercio. 

L'impianto, che già vent'anni fa si palesava come sicuramente innovativo e funzionale, non invecchia affatto. Tiene infatti ancora bene quel susseguirsi dei capitoli-palinsesti dati dalla "guerra attesa", "guerra-festa", "guerra-cerimonia", "guerra-comunione", "guerra-percezione", "guerra-riflessione", "guerra lontana", "guerra-follia", "guerra-tragedia", "guerra-lutto", "guerra ricordata" e "guerra postuma" dove calare i testi dei poeti già antologizzati e di quelli nuovi, tra i quali troverete pure una grande sorpresa-trasgressione.

(Ricordo qui il post sulla precedente edizione del libro, con il quale tra l'altro era iniziata questa serie di post legata a libri sulla Prima guerra mondiale.)


Andrea Zanzotto, Rivolgersi agli ossari (da Il Galateo in Bosco, 1978)


Rivolgersi agli ossari. Non occorre biglietto.
Rivolgersi ai cippi. Con il più disperato rispetto.
Rivolgersi alle osterie. Dove elementi paradisiaci aspettano.
Rivolgersi alle case. Dove l’infinitudine del desìo
(vedila ad ogni chiusa finestra) sta in affitto.

E la radura ha accettato più d’un frondoso colloquio
ormai, dove, ahi,
si esibì la più varia mostra dei sangui
il più mistico circo dei sangui. Oh quanti numeri, e rancio speciale. Urrah.
Vorrei bucarmi di ogni chimica rovina
per accogliere tutti, in anteprima,
nello specchio medicato d’infinitudini e desii
di quel circo i fermenti gli enzimi
dentro i succhi più sublimi dell’alba, dell’azione, in piena diana. E si va.
E si va per ossari. Essi attendono
gremiti di mortalità lievi ormai, quai gemme di primavera,
gremiti di bravura e di paura. A ruota libera, e si va.
Buoni, ossari – tante morti fuori del qualitativo divario
onde si sale a sicurezze di cippo,
fuori del gran bidone (e la patria bidonista,
che promette casetta e campicello
e non li diede mai, qui santità mendica, acquista).
Hanno come un fervore di fabbrica gli ossari.
Vi si ricevono ordini, ordinazioni eterne. Vi si smista.
All’asilo, certi pazzi-di-guerra, ancora vivi
allevano maiali; traffici con gli ossari.
Mi avete investito, lordato tutto, eternizzato tutto, un fiotto di sangue.
Arteria aperta il Piave, né calmo né placido
ma soltanto gaiamente sollecito oltre i beni i mali e simili
e tutto solletichìo di argenti, nei suoi intenti, a dismisura.
Padre e madre, in quel nume forse uniti
tra quell’incoercibile sanguinare
ed il verde e l’argenteizzare altrettanto incoercibili,
in quel grandore dove tutti i silenzi sono possibili
voi mi combinaste, sotto quelle caterve di
os-ossa, ben catalogate, nemmeno geroglifici, ostie
rivomitate ma come in un più alto, in un aldilà d’erbe e d’enzimi
erbosi assunte,
in un fuori-luogo che su me s’inclina e domina
un poco creandomi, facendomi assurgere a
Così che suono a parlamento
per le balbuzie e le più ardue rime,
quelle si addestrano e rincorrono a vicenda,
io mi avvicendo, vado per ossari, e cari stinchi e teschi
mi trascino dietro dolcissimamente, senza o con flauto magico
Sempre più con essi, dolcissimamente, nella brughiera
io mi avvicendo a me, tra pezzi di guerra sporgenti da terra,
si avvicenda un fiore a un cielo
dentro le primavere delle ossa in sfacelo,
si avvicenda un sì a un no, ma di poco
differenziati, nel fioco
negli steli esili di questa pioggia, da circo, da gioco. 

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