Pare proprio che abbia voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa Cesare Viviani, improntando questo scritto costituito per frammenti di pensieri e accumuli e dedicato allo stato in cui versa la poesia contemporanea, a chi la fa, ai versificatori distinti dai poeti, alla critica militante che non sa più scegliere e distinguere, ai giovani o meno giovani poeti che pensano di conoscere l'opera di un autore avendo letto qualche testo in Internet o su antologie, alle parrocchie dell'autocelebrazione e dello spalleggiamento compulsivo, alle disgrazie biografiche dei poeti elevate a pubblicità della peggior specie ecc. Le riflessioni che ne conseguono ora trovano forma in un libretto brevissimo proposto da Il Melangolo e intitolato La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che... (pp. 76, euro 7). Il titolo è un filo cerchiobottista. Che dire a lettura ultimata? Ci sono dei punti che si possono condividere facilmente, tanto sono evidenti, persino ovvi. C'è da dire che fanno sorridere simpaticamente gli incisi, come quando Viviani dice che vorrebbe essere "tollerante, equilibrato, saggio" come Valerio Magrelli, e invece resta un toscano piuttosto caldo di temperamento che si prende grandi arrabbiature, oppure quando ricorda una dedica tanto memorabile quando essenziale di Rondoni, nel 2016: "a Viviani Rondoni".
C'è un livello distinto di riflessioni di questa lamentatio, che intende rappresentare anche la parte costruttiva di un discorso che si avvita spesso attorno a parole come "limite" o "vuoto" (quello che le parole della poesia fanno attorno a sé). Verso la fine Viviani estende un vero e proprio invito ad appartarsi, a isolarsi, e torneremo su questo punto proprio in chiusura. Lungo lo scorrere del testo si chiede che senso abbiano certe tirature dei libri di poesia quando con 40-50 copie si può accontentare il cerchio di amici che sono disposti a leggere e abitare con l'opera poetica, senza doverla leggere per dovere d'ufficio o per un istinto che definirei glamour (Viviani non usa questa parola che impiego per provare a sintetizzare). Ora credo sia facile rintracciare tra le righe uno sconforto per lo stato in cui la poesia - intesa come sistema, quindi come insieme di più parti che portano un qualche interesse - è giunta ai giorni nostri. Nel finale Viviani si rivolge direttamente ai più giovani, quasi il suo fosse un appello. Ha chiaramente ragione da vendere quando rivendica la lontananza della poesia dai centri di potere (anche se non è sempre stato così, la poesia è stata anche al servizio del potere, compresa certa poesia che leggiamo dopo millenni come un classico), oppure quando parla di critici che diventano polemisti nel gran mercato delle opinioni. Insomma, il tessuto è chiaramente disgregato e Viviani parla di qualcosa che è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, passando in rassegna determinati punti, mi è parsa ad esempio estrema la posizione sulle scuole di scrittura: non mi pare che nessuna scuola di scrittura millanti la capacità di trasformare un allievo in brillante poeta.
Ci sono aspetti che convincono e altri che convincono meno in questo piccolo pamphlet costruito per gemmazioni di pensieri e aggregazioni, incisi, flash, scariche e aggiustamenti di tiro. Che quello della poesia - e con essa buona parte del mondo - sia un teatrino neanche dei più simpatici lo abbiamo capito. Penso lo abbiano capito anche i giovani o meno giovani che Viviani cita a più riprese e che per un tozzo di pane e di visibilità sono disposti a tutto o quasi. Di fondo però, in tutto questo scritto, prevale un sapore di amarezza personale che fa perdere di vista lo scopo. Già, lo scopo: quale era lo scopo di questo breve scritto? Credo si sia un po' perso di vista, nel testo. Proviamo però a isolare il più utile: ricordarsi della centralità di leggere molto, di non pensare di fermarsi a due o tre poesie lette in rete o in antologie. Tuttavia, anche qui, c'è da dire che le persone con un briciolo di coscienza sanno distinguere le situazioni in cui possono dire di aver letto abbastanza da quelle in cui denunciano delle normali lacune.
A voler provare a dire la parola definitiva sulla forma storica della poesia si rischia sempre di incappare in qualche trabocchetto e inganno, tanto più se il pensiero è striato di un parziale risentimento per come sono andate le cose. Lo sappiamo bene o male che la poesia non sta tutta nei siparietti festivalieri o nel narcisismo devastante dei succitati poeti che darebbero tutto per un tozzo di pane di visibilità. Resta quindi il dubbio che il nucleo del problema resti altrove e che questo libretto non abbia saputo indicarci questo altrove. Oppure semplicemente un problema non c'è, e come suggerisce Viviani faremmo bene a leggere, leggere, leggere e basta. Il punto non è credere che la poesia stia traversando un momento di rigoglio e pensare che Viviani sia arrivato per dirci che non è così e rimetterci coi piedi per terra. Il punto semmai è sapere che tutte le storture che Viviani ci ricorda - che esistono e non sono il massimo della vita - non sono che un evento transitorio e alla fine ognuno fa e farà i conti con sé. Ma ecco, proprio sul punto dell'isolamento ci sarebbe qualcosa da osservare in chiusura: non sempre l'isolamento o l'essere appartati è garanzia di buona poesia, di autenticità o altro. Non è garanzia di un bel niente. Anche questa quindi potrebbe rivelarsi un'illusione. Mai come di questi tempi un confronto, anche fuori dalle corride dei social, appare così necessario per tirarci fuori da mucchi di parole che il più delle volte stagnano come paludi autistiche.
giovedì 14 giugno 2018
"La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che...". Qualche riflessione di Cesare Viviani
On parle de:
A meno che...,
Cesare Viviani,
Il Melangolo,
La poesia è finita. Diamoci pace
mercoledì 13 giugno 2018
Lo spettacolo "Tigre contro Grammofono vs Ophelia Borghesan" alla Libreria Zabarella di Padova Mercoledì 20 giugno
Ophelia Borghesan è una poetessa-tamagotchi, ma la realtà simulata dai suoi testi è in fondo la nostra: ci sorprende nell’atto di preoccuparci per la prova costume, soffrire per una doppia spunta su Whatsapp, guardare "Uomini e Donne" o controllare una notifica in mezzo alle strisce pedonali. Le sue brevi poesie, come istantanee di vita quotidiana, inquadrano anche alcuni dei temi centrali della contemporaneità, senza dare giudizi né soluzioni: l’immigrazione, la guerra, la figura della donna.
Ophelia Borghesan, il cui archivio poetico è posseduto da Luca Rizzatello, è apparsa già su queste pagine, diverso tempo fa, a più riprese (qui per comodità sono raggruppati tutti i post che la riguardano, e uno di questi prevede la possibilità di scaricare gratuitamente l'ebook Caino e Gretel). Su Instagram potete leggere quasi quotidianamente le sestine alla prima persona plurale di Canile. Ophelia Borghesan approda ora alla Libreria Zabarella di Padova con "Tigre contro Grammofono vs Ophelia Borghesan", un doppio/triplo spettacolo in versi per voce e vocal reader, musica elettronica, emoji, video-grafica e visuals della durata di 30 minuti. Il video che accompagna la lettura riprende l’iconografia del kitsch che si associa alla poesia: tramonti, gabbiani, glicini... e una immancabile esasperazione dell’estetica dei cuccioli.
Ophelia Borghesan, il cui archivio poetico è posseduto da Luca Rizzatello, è apparsa già su queste pagine, diverso tempo fa, a più riprese (qui per comodità sono raggruppati tutti i post che la riguardano, e uno di questi prevede la possibilità di scaricare gratuitamente l'ebook Caino e Gretel). Su Instagram potete leggere quasi quotidianamente le sestine alla prima persona plurale di Canile. Ophelia Borghesan approda ora alla Libreria Zabarella di Padova con "Tigre contro Grammofono vs Ophelia Borghesan", un doppio/triplo spettacolo in versi per voce e vocal reader, musica elettronica, emoji, video-grafica e visuals della durata di 30 minuti. Il video che accompagna la lettura riprende l’iconografia del kitsch che si associa alla poesia: tramonti, gabbiani, glicini... e una immancabile esasperazione dell’estetica dei cuccioli.
Spettacolo
Tigre contro Grammofono VS Ophelia Borghesan
TCGVSOB è un doppio/triplo spettacolo in versi per voce e vocal reader, musica elettronica, emoji, video-grafica e visuals della durata di 30 minuti
TCGVSOB è la poesia come non l’avete mai vista
Progetto di Luca Rizzatello e Angela Grasso
Una produzione Zoopalco
Ingresso libero
Lo spettacolo si svolgerà nel giardino
Durante la serata sarà allestito un buffet a offerta libera
DOVE?
Libreria Zabarella, via Zabarella 80, Padova (PD)
QUANDO?
Mercoledì 20 giugno, alle 21:00
CONTATTI:
libreriazabarella@gmail.com
On parle de:
Angela Grasso,
Libreria Zabarella,
Luca Rizzatello,
Ophelia Borghesan,
Padova,
Zoopalco
martedì 12 giugno 2018
Origami: Treviso Ricerca Arte ospita la presentazione del libro "Sistema periodico. Il secolo interminabile delle riviste"
Martedì 3/07, ore 20:45
ORIGAMI. ALTRI USI DELLA CARTA
"Sistema periodico. Il secolo interminabile delle riviste"
con Franco Baldasso (Bard College, New York), Francesco Bortolotto, Eleonora Fuochi e Federica Parodi (Università di Bologna)
Presenta Alberto Cellotto
TRA – Treviso Ricerca Arte
Ca' dei Ricchi
via Barberia, 25
Treviso
“Origami. Altri usi della carta” è il nuovo format ideato da Alberto Cellotto per TRA Treviso Ricerca Arte per veicolare la presentazione di un libro: 60 minuti, suddivisi in 4 diversi momenti, per far parlare le pieghe del libro e del suo autore e per evitare di parlar loro addosso. Il nome della rassegna evoca l’atto del piegare un foglio di carta per ottenere una figura singolare, spesso sorprendente. Rinvia a un’arte e a un passatempo curioso ancora diffuso nel contemporaneo e la carta, protagonista nelle pieghe dell’origami, è un supporto tra gli altri ancora disponibili attraverso il quale veicolare idee, discussioni, polemiche.
Il volume “Sistema periodico. Il secolo interminabile delle riviste” (Pendragon, 2018) nasce dall’esperienza dell’omonimo laboratorio didattico organizzato da alcuni studenti dell’Università di Bologna all’interno del dipartimento di Italianistica. La scelta di periodizzare uno sguardo sulla letteratura italiana dal Novecento a oggi seguendo l’evoluzione delle riviste letterarie e culturali è dettata dall’interesse nei confronti dello strumento rivista, dinamico e onnipresente, che può fungere da ottima chiave di lettura di un arco temporale quanto mai problematico per la letteratura. Punto di forza della ricerca, oltre al tentativo di proporre alcune delle più importanti questioni letterarie della contemporaneità sotto una nuova luce, è l’eterogeneità dei contributi, che rende il volume polifonico, coinvolgendo accademici, poeti, operatori editoriali e gli stessi studenti. Tale carattere permette altresì di non appiattire la trattazione su una mera storia delle riviste letterarie, ma strutturare un discorso – senza alcuna pretesa di completezza – ricco di spunti e approfondimenti, da affiancare alla materia viva della letteratura contemporanea e al contatto con le riviste. Non un manuale, dunque, ma un supporto che possa tanto supportare lo studioso, quanto accompagnare un primo approccio alla trattazione delle riviste letterarie.
Link appuntamento: http://www.trevisoricercaarte.org/rassegne/origami-altri-usi-della-carta-2/
Ingresso riservato ai soci TRA o su offerta responsabile.
Si ricorda che il primo appuntamento con la rassegna "Origami. Altri usi della carta" sarà martedì 26 giugno sempre alle 20:45 con Maria Anna Mariani e il libro Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche (Exorma).
Link appuntamento: http://www.trevisoricercaarte.org/rassegne/origami-altri-usi-della-carta/
Contatti
(+39) 0422 419 990
(+39) 339 644 35 42
segreteria@trevisoricercaarte.org
www.trevisoricercaarte.org
domenica 10 giugno 2018
Oltre la letteratura, conversazioni con Susan Sontag: "La mia vita è la mia capitale, la capitale della mia immaginazione. Mi piace colonizzare."
Chissà se era vero che Susan Sontag non leggeva mai le recensioni ai propri libri, nemmeno quando erano totalmente favorevoli, e se se le faceva raccontare dagli amici in termini di "like". Dobbiamo crederle, del resto, anche perché detestava le recensioni. È uno dei tanti aspetti di cui si può fare conoscenza leggendo questo libro di piccolissimo formato pubblicato da Medusa Edizioni e intitolato Oltre la letteratura. Conversazioni con Susan Sontag (pp. 116, euro 13, cura e traduzione di Luana Salvarani). Il volume raccoglie quattro conversazioni-interviste rilasciate dalla scrittrice a Geoffrey Movius, Eileen Manion e Sherry Simon, Edward Hirsh e Tom Robotham per testate come "Boston Review", "The Paris Review" o "Port Folio Weekly". Editorialmente parlando, per l'Italia, si tratta di un volume di passaggio, in un frangente storico in cui, a ben vedere, si fatica non poco a trovare le traduzioni italiane dei suoi libri, per la maggior parte non disponibili e fuori catalogo. Di recente, e sempre inquadrabile nell'ottica dell'intervista, c'è da ricordare il volume pubblicato da Il Saggiatore Odio sentirmi una vittima, l'intervista di Jonathan Cott su "amore, dolore e scrittura". E non è un caso che con Sontag torni costante l'attenzione primaria alla scrittura, perché al di là di tutto quello che si può dire e accentuare della sua figura, stiamo parlando di una scrittrice piena, che confessa di aver imparato molto sulla punteggiatura e la velocità da Donald Barthelme, mentre su aggettivi e ritmi della frase riconosce un debito grande a Elizabeth Hardwick (di cui il lettore italiano cercherà invano qualcosa di tradotto).
Le quattro conversazioni qui radunate affrontano temi ricorrenti, che hanno come legante la scrittura, ma spaziano dalla guerra al femminismo, dalla realtà accademica alla necessità della scrittura fuori da questa, da considerazioni generali su fiction e non-fiction a aspetti molto concreti dell'atto di scrittura (Sontag sostanzialmente ha evitato il word processor a lungo). Apprendiamo ad esempio, a seguito delle insistenti domande degli intervistatori, che per lei "intellettuale" è quasi esclusivamente un aggettivo e non un sostantivo. Capiamo che, a dispetto dell'immagine che in Italia abbiamo di lei, si vedeva come una scrittrice di fiction e non tanto di saggi. Puntella continuamente le risposte con considerazioni che diventano importanti per ripercorre tutta la sua opera e il senso dello scrivere, come quando ad esempio dichiara "La mia vita è la mia capitale, la capitale della mia immaginazione. Mi piace colonizzare" oppure quando ricorda "non scrivo perché c'è un pubblico. Scrivo perché c'è la letteratura". E così, tra dichiarazioni d'amore per certi autori e opere, ricordi di viaggi o ritorni frequenti al suo saggio più noto Sulla fotografia, c'è spazio per qualche divagazione temporale e spaziale, come quella sulla letteratura russa del Diciannovesimo secolo, nel momento in cui Edward Hirsh le chiede se l'obiettivo della letteratura è educarci alla vita:
Le quattro conversazioni qui radunate affrontano temi ricorrenti, che hanno come legante la scrittura, ma spaziano dalla guerra al femminismo, dalla realtà accademica alla necessità della scrittura fuori da questa, da considerazioni generali su fiction e non-fiction a aspetti molto concreti dell'atto di scrittura (Sontag sostanzialmente ha evitato il word processor a lungo). Apprendiamo ad esempio, a seguito delle insistenti domande degli intervistatori, che per lei "intellettuale" è quasi esclusivamente un aggettivo e non un sostantivo. Capiamo che, a dispetto dell'immagine che in Italia abbiamo di lei, si vedeva come una scrittrice di fiction e non tanto di saggi. Puntella continuamente le risposte con considerazioni che diventano importanti per ripercorre tutta la sua opera e il senso dello scrivere, come quando ad esempio dichiara "La mia vita è la mia capitale, la capitale della mia immaginazione. Mi piace colonizzare" oppure quando ricorda "non scrivo perché c'è un pubblico. Scrivo perché c'è la letteratura". E così, tra dichiarazioni d'amore per certi autori e opere, ricordi di viaggi o ritorni frequenti al suo saggio più noto Sulla fotografia, c'è spazio per qualche divagazione temporale e spaziale, come quella sulla letteratura russa del Diciannovesimo secolo, nel momento in cui Edward Hirsh le chiede se l'obiettivo della letteratura è educarci alla vita:
Sì, ci educa alla vita. Non sarei la persona che sono, non capirei ciò che capisco, se non fosse per certi libri. Sto pensando alla grande questione della letteratura russa del Diciannovesimo secolo: come si dovrebbe vivere? Un romanzo che valga la pena di leggere è un'educazione del cuore. Esso amplia il nostro senso di possibilità umana, di ciò che è la natura umana, di ciò che accade nel mondo. È un creatore di introspezione.E su questa riflessione, anche molto controversa (fossi stato l'intervistatore le avrei chiesto di approfondire il concetto di "natura umana", che non mi pare così semplice e dato una volta per tutte) chiudiamo con un invito ad avvicinare questo breve libro, in attesa che l'opera di Susan Sontag torni ad avere anche in Italia una maggiore agilità di frequentazione. Non ci si spiega infatti la portata e l'onda lunga della sua riflessione, sin dalle sue Notes On "Camp" del 1964, se confrontata con la pochezza di quanto disponibile oggi in libreria.
giovedì 7 giugno 2018
"Lettere al duca di Valentinois" di Marcel Proust
Chi ha sfogliato e letto qualcosa dall'epistolario di Marcel Proust - per intendersi: un insieme di lettere che in Francia Philip Kolb ha curato in ben ventuno volumi usciti tra il 1970 e il 1993 - sa che l'autore della Recherche spesso non anteponeva la data alle proprie lettere. Questo dato ha l'aria di essere rilevante per chi si affaccia su una corrispondenza sterminata che nel nostro paese, ad eccezione del Meridiano antologico curato da Gian Carlo Buzzi nel 1997 intitolato Le lettere e i giorni, si è soliti proporre e leggere a spizzichi e bocconi. L'assenza di data sembra quasi una spia del modo in cui Proust governava il flusso delle comunicazioni epistolari, non uno spregio del tempo, delle sue suddivisioni oppure una distrazione, ma un intralcio al teatro di marionette e ombre lunghe che affollava l'universo delle sue lettere. Tale montagna di lettere, che non va certo anteposta alle opere per cui ricordiamo Proust, si è via via imposta come un regesto fervido e fecondo per la scrittura delle cosiddette opere maggiori e di Contro Sainte-Beuve, essenziale scritto contenente preziose distinzioni puntualmente disattese su "io che scrive" e "opera".
Il criterio editoriale della frammentazione delle lettere secondo un destinatario ritorna anche nel caso del libro di oggi e tutto sommato si rende necessario per un epistolario talmente vasto, non soltanto per ragioni pratiche o editoriali-commerciali. Va detto poi che il libro in questione è reso possibile grazie all'apertura recente degli archivi monegaschi da parte del principe Alberto II. In Lettere al duca di Valentinois (Archinto, pp. 88, euro 18, a cura e con note di Jean-Marc Quaranta, prefazione di Jean-Yves Tadié, traduzione di Francesco Bergamasco) sono radunate quattro missive e un telegramma sinora inediti conservati a lungo negli archivi del Principato. Le ricostruzioni ci dicono che siamo tra l'estate e l'autunno 1920. Proust ha quindi 49 anni (morirà di lì a poco, nel novembre del 1922) e si rivolge al giovane Pierre de Polignac, futuro padre di Ranieri III di Monaco, che nel marzo di quell'anno aveva sposato la principessa Charlotte de Monaco, acquisendo il titolo di duca di Valentinois.
Ora un passo indietro: nel 1919 era uscito per Gallimard À l'ombre des jeunes filles en fleurs e nello stesso anno Proust aveva ricevuto il prix Goncourt. È in tale scia che si colloca questa nuova costola del suo epistolario uscita dagli archivi dinastici del Principato. In una delle lettere qui proposte Proust propone al principe la sottoscrizione a un'edizione lussuosissima di All'ombra delle fanciulle in fiore, ignorata dal duca e causa della rottura tra i due. Insomma, questa manciata di lettere è la storia di una rottura e di una sparizione che ferì lo scrittore. Da qui si passa spesso a citare la nemesi proustiana cucita sui panni nel personaggio del conte di Nassau, che per molti interpreti evoca il duca. Eppure sappiamo proprio da Proust (e anche con Raboni, il suo importante traghettatore italiano) oppure anche dalle Lettere alle amiche di Céline (Adelphi, 2016) quanto inutile, piccino e inconcludente sia l'esercizio di trovare analogie tra personaggi di un'opera e personaggi reali che compaiono nella biografia o in un epistolario (Céline ad esempio se la prendeva con la madre e i suoi commenti all'uscita di un nuovo libro). Proust si mostra prodigo di consigli letterari per il duca, persona reputata di grande sensibilità artistica, ma alla fine questo sparuto gruppo di lettere altro non è che la storia di un'interruzione di una relazione che era iniziata durante la guerra, nel 1917, quando il conte era però in partenza per la Cina per una missione diplomatica. Si lascia a chi leggerà questo breve libro la possibilità di fare ipotesi su questo taglio, la possibilità di leggere anche le ipotesi che compaiono nella lunga postfazione, che sono ricondotte a una incompatibilità tra queste due creature e alle sollecitazioni pressanti e sgradevoli di Proust. Eppure questa interruzione che sappiamo essere voluta dal duca ha quasi il sapore di un gesto che si fa per preservare qualcosa che c'è stato, per proteggerlo almeno finché si è in vita.
Il criterio editoriale della frammentazione delle lettere secondo un destinatario ritorna anche nel caso del libro di oggi e tutto sommato si rende necessario per un epistolario talmente vasto, non soltanto per ragioni pratiche o editoriali-commerciali. Va detto poi che il libro in questione è reso possibile grazie all'apertura recente degli archivi monegaschi da parte del principe Alberto II. In Lettere al duca di Valentinois (Archinto, pp. 88, euro 18, a cura e con note di Jean-Marc Quaranta, prefazione di Jean-Yves Tadié, traduzione di Francesco Bergamasco) sono radunate quattro missive e un telegramma sinora inediti conservati a lungo negli archivi del Principato. Le ricostruzioni ci dicono che siamo tra l'estate e l'autunno 1920. Proust ha quindi 49 anni (morirà di lì a poco, nel novembre del 1922) e si rivolge al giovane Pierre de Polignac, futuro padre di Ranieri III di Monaco, che nel marzo di quell'anno aveva sposato la principessa Charlotte de Monaco, acquisendo il titolo di duca di Valentinois.
Ora un passo indietro: nel 1919 era uscito per Gallimard À l'ombre des jeunes filles en fleurs e nello stesso anno Proust aveva ricevuto il prix Goncourt. È in tale scia che si colloca questa nuova costola del suo epistolario uscita dagli archivi dinastici del Principato. In una delle lettere qui proposte Proust propone al principe la sottoscrizione a un'edizione lussuosissima di All'ombra delle fanciulle in fiore, ignorata dal duca e causa della rottura tra i due. Insomma, questa manciata di lettere è la storia di una rottura e di una sparizione che ferì lo scrittore. Da qui si passa spesso a citare la nemesi proustiana cucita sui panni nel personaggio del conte di Nassau, che per molti interpreti evoca il duca. Eppure sappiamo proprio da Proust (e anche con Raboni, il suo importante traghettatore italiano) oppure anche dalle Lettere alle amiche di Céline (Adelphi, 2016) quanto inutile, piccino e inconcludente sia l'esercizio di trovare analogie tra personaggi di un'opera e personaggi reali che compaiono nella biografia o in un epistolario (Céline ad esempio se la prendeva con la madre e i suoi commenti all'uscita di un nuovo libro). Proust si mostra prodigo di consigli letterari per il duca, persona reputata di grande sensibilità artistica, ma alla fine questo sparuto gruppo di lettere altro non è che la storia di un'interruzione di una relazione che era iniziata durante la guerra, nel 1917, quando il conte era però in partenza per la Cina per una missione diplomatica. Si lascia a chi leggerà questo breve libro la possibilità di fare ipotesi su questo taglio, la possibilità di leggere anche le ipotesi che compaiono nella lunga postfazione, che sono ricondotte a una incompatibilità tra queste due creature e alle sollecitazioni pressanti e sgradevoli di Proust. Eppure questa interruzione che sappiamo essere voluta dal duca ha quasi il sapore di un gesto che si fa per preservare qualcosa che c'è stato, per proteggerlo almeno finché si è in vita.
mercoledì 6 giugno 2018
Origami: Treviso Ricerca Arte ospita Maria Anna Mariani e il libro "Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche"
Martedì 26/06, ore 20:45
ORIGAMI. ALTRI USI DELLA CARTA
"Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche"
di Maria Anna Mariani
Presenta Alberto Cellotto
TRA – Treviso Ricerca Arte
Ca' dei Ricchi
via Barberia, 25
Treviso
"Origami. Altri usi della carta” è il nuovo format ideato da Alberto Cellotto per TRA Treviso Ricerca Arte per veicolare la presentazione di un libro: 60 minuti, suddivisi in 4 diversi momenti, per far parlare le pieghe del libro e del suo autore e per evitare di parlar loro addosso.
Il nome della rassegna evoca l’atto del piegare un foglio di carta per ottenere una figura singolare, spesso sorprendente. Rinvia a un’arte e a un passatempo curioso ancora diffuso nel contemporaneo e la carta, protagonista nelle pieghe dell’origami, è un supporto tra gli altri ancora disponibili attraverso il quale veicolare idee, discussioni, polemiche.
Il primo appuntamento della rassegna è con "Dalla Corea del Sud. Tra neon e bandiere sciamaniche" di Maria Anna Mariani (Exorma, 2017), un singolare resoconto di più di quattro anni vissuti in un luogo che, al momento della partenza dall'Italia, l'autrice a malapena collocava nel mappamondo. Maria Anna Mariani infatti, terminato il dottorato a Siena, ha deciso di partire perché in Corea del Sud c'era a tutti gli effetti un lavoro per lei. E le pagine di questo diario atipico si caratterizzano a poco a poco per una nota dolente e divertente al contempo, collocandosi tra il reportage brillante e la cocente confessione relativa a quella cornice di tempo, prima dell'approdo a Chicago, dove attualmente l'autrice vive e lavora.
Il libro è un susseguirsi di brevi e smaglianti capitoli datati, proprio come un diario, che ci parlano ogni volta di qualcosa di nuovo: dell'impatto con la nazione, dell'inganno e della reificazione della vita nel dormitorio "surrogato del globo", della solitudine, delle lezioni con gli studenti, dei diversi paesaggi che sporgono da un finestrino o sotto un piede, della vicinanza con la Corea del Nord, di tabù, di incontri più o meno aforistici e di affondi introspettivi senza sconti. E c’è qualcosa di nuovo quasi a ogni capitolo, in una variazione continua di temi e toni. Eppure tutto è legato con un unico nastro e assomiglia a una strana corrispondenza, una condivisione che pare lontanissima da quella istantanea tipica dei social e delle chat con le loro esche a buon mercato. Potremmo quindi ipotizzare che "Dalla Corea del Sud" sia una sorta di strano libro epistolare diventato reportage, diario e testimonianza, nel quale non emergono destinatari delle singole lettere-paragrafi. Assai di rado capita di leggere pagine così affilate e riflettenti in uno scritto che si può ricondurre ai territori dell'autobiografia contemporanea.
Qui la recensione apparsa su "Librobreve".
Ingresso riservato ai Soci TRA o su offerta responsabile.
(Maggiori info)
Il secondo appuntamento con la rassegna "Origami" sarà martedì 3 luglio sempre alle 20:45. Altre informazioni qui.
Contatti
(+39) 0422 419 990
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On parle de:
Dalla Corea del Sud,
Exorma,
Maria Anna Mariani,
Origami,
Treviso Ricerca Arte
domenica 3 giugno 2018
L'eroe da romanzo. Da Goya e Barrès ad Aragon e Céline. Una selezione di testi critici di Pierre Drieu La Rochelle
È stata una buona idea quella di Mimesis di raggruppare in un piccolo libro della collana "A lume spento" alcuni scritti critici di Pierre Drieu La Rochelle. Si intitola L'eroe da romanzo. Da Goya a Barrès ad Aragon e Céline (pp. 100, euro 8) questa selezione curata e tradotta da Marco Settimini e scorrerla è un tuffo nelle riviste che hanno fatto il dibattito degli anni Trenta del Novecento francese: testate come "Je Suis Partout", "Nouvelle Revue Française", "La Flèche" già riecheggiano e intersecano alcune problematiche che già abbiamo discusso su queste pagine, come quella degli scrittori della "tentazione fascista" (la categoria è di Tarmo Kunnas, che radunava in uno studio tuttora ineguagliato i casi di Pound, Hamsun, Céline, Brasillach e appunto La Rochelle), i conti con l'eredità e il tribunale della storia, le vigliaccherie della critica, i malfunzionamenti o le storture del modo in cui leggiamo e delle sovrastrutture che ci abitano quando affrontiamo il lascito di taluni autori. La Rochelle, oltre a essere stato un grande un grande scrittore, fu anche un critico capace di intervenire efficacemente su alcuni nodi importanti del dibattito culturale e questo piccolo volume ne dà finalmente un utile spaccato.
I brevi contributi di questo libro incominciano con due interventi su Barrès, proseguono con uno scritto accorato dedicato al genio di un Goya che se la ride nella sua solitudine sempre più rimbombante, con la sua satira, con il suo non essere cristiano ("gli spagnoli non sono mai stati cristiani" ha detto una volta Ortega y Gasset proprio a La Rochelle in quanto partecipano a una "religione più primitiva"). Il piccolo volume non contiene solo estratti da rivista, ma è intervallato da alcuni frammenti del diario dello scrittore, di cui il più interessante e sorprendente pare quello dedicato alla pièce filosofica A porte chiuse di Jean-Paul Sartre. Nella libertà del diario La Rochelle scrive che la cosa "diventa noiosa come un romanzo poliziesco nel quale la mediocrità dell'autore trasuda a ogni pagina". Seguono gli apprezzamenti su Nietzsche e Hemingway, con la proposta della sua prefazione all'edizione Gallimard del 1931 di L'Adieu aux armes. Il brano che presta il titolo al libro, L'eroe da romanzo, parla dell'espediente tramite il quale, un romanziere ormai non più giovane, dedica un'opera a un eroe giovane e in questa
I brevi contributi di questo libro incominciano con due interventi su Barrès, proseguono con uno scritto accorato dedicato al genio di un Goya che se la ride nella sua solitudine sempre più rimbombante, con la sua satira, con il suo non essere cristiano ("gli spagnoli non sono mai stati cristiani" ha detto una volta Ortega y Gasset proprio a La Rochelle in quanto partecipano a una "religione più primitiva"). Il piccolo volume non contiene solo estratti da rivista, ma è intervallato da alcuni frammenti del diario dello scrittore, di cui il più interessante e sorprendente pare quello dedicato alla pièce filosofica A porte chiuse di Jean-Paul Sartre. Nella libertà del diario La Rochelle scrive che la cosa "diventa noiosa come un romanzo poliziesco nel quale la mediocrità dell'autore trasuda a ogni pagina". Seguono gli apprezzamenti su Nietzsche e Hemingway, con la proposta della sua prefazione all'edizione Gallimard del 1931 di L'Adieu aux armes. Il brano che presta il titolo al libro, L'eroe da romanzo, parla dell'espediente tramite il quale, un romanziere ormai non più giovane, dedica un'opera a un eroe giovane e in questa
mette in scena le parti ancora vive di se stesso assieme a quelle che sono morte. È quel luogo meraviglioso in cui confluiscono l'osservazione e la creazione, la memoria e il sogno, il realismo e l'idealismo, il rimpianto e la speranza, l'illusione e la visione a freddo. Soltanto la giovinezza in cui regna senza contesto tutto il possibile può accogliere così tanti incontri.Di particolare interesse sono gli scritti su Chesterton, Benjamin Constant e Henry de Montherlant. Si passa dunque a un doveroso contributo a Céline, che "ha avuto la stessa sorte della verità", a due scritti importanti dedicati al surrealismo e allo scritto conclusivo, intitolato "La poesia al di sopra di tutto", che mi è parso l'unico anello debole, o semplicemente meno interessante, di questa preziosa crestomazia.
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